Ora che i giochi sono chiusi, due cose bisogna pur dirle. È inutile scandalizzarsi per lo spettacolo di questi giorni. Non è certo stato peggiore di tanti precedenti. Quando si giudica la politica bisogna avere memoria. La verità è che non esiste nell’attuale Parlamento una maggioranza politica coesa, in grado di esprimere una candidatura di alto profilo per il Quirinale. Non c’è perché non è stata espressa dalle elezioni del marzo 2018. Il popolo in democrazia è per fortuna sovrano e vota come gli pare. Ma può prendere delle solenni cantonate.
Per maggioranza coesa, sia pure in un sistema multipartitico, s’intende quella capace di condividere un programma di governo. Nel 2018 non c’era. La somma di istanze contrapposte, anche fantasiose, non fa un programma. Non lo fece. Il governo giallo-verde fu una forzatura. In realtà si dovevano sciogliere le camere e rivotare, anche più volte, come accade in altri paesi, senza drammi. Invece si fece il Conte I, un papocchio. Poi il Conte II, un altro papocchio. Poi il governo Draghi, tecnico-politico d’emergenza causa pandemia. Ha messo un po’ d’ordine, per fortuna. Ma non è espresso da una maggioranza politico-programmatica. È espresso solo dalla somma aritmetica di forze – o debolezze – politiche, che hanno interesse a non sciogliere le Camere fin quando si può. Almeno il 70% se non l’80% degli attuali parlamentari sa che non troverà posto nel prossimo parlamento. Un po’ perché i sondaggi sono concordi nel registrare cali di consenso enormi, non solo per i 5stelle. Un po’ perché il numero degli eletti è stato quasi dimezzato, sia alla Camera sia al Senato. I parlamentari sono esseri umani. Da che mondo è mondo stentano a sottoscrivere il proprio suicidio.
Per eleggere un nuovo presidente della Repubblica andava dunque cercato un accordo larghissimo su un nome autorevole e condiviso. Ma il candidato non viene da Marte. È dunque scontato che abbia una storia, un’appartenenza se non strettamente politica almeno culturale. Il neutro non esiste. Era dunque inevitabile che tutto finisse con l’appello a Mattarella.
L’elezione di Draghi – per molti versi auspicabile – avrebbe posto immediatamente il tema di un nuovo presidente del Consiglio e di un nuovo governo, espressione però, ancora una volta, di un papocchio, cioè di una somma aritmentica. A un anno dalla fine naturale della legislatura – che fatalmente ci sarà, nel marzo del 2023 – neppure un santo avrebbe accettato un presidente del Consiglio strettamente politico. Su quali basi, con i numeri parlamentari di oggi? Con i 5stelle dispersi, il Pd largamente minoritario, Forza Italia in declino, la Lega in difficoltà. Meglio rinviare, dunque.
Il secondo mandato a un presidente della Repubblica è costituzionalmente legittimo, al di là del precedente Napolitano. Ma non è normale. Con 14 anni di presidenza in un sistema parlamentare, non presidenzialista (e comunque negli USA i mandati possono essere solo 2, cioè in tutto 8 anni), si vira versa una presidenza “monarchica”. Non è normale.
Sergio Mattarella lo sa perfettamente ed è stato un vero signore ad accettare, dopo aver fatto chiaramente intendere di non gradire la rielezione. In questo senso ha dimostrato di possedere un elevatissimo senso civico, da servitore della Patria, prima ancora che dello Stato. Probabilmente si dimetterà dopo le prossime elezioni legislative. Ma, a questo punto, io preferirei rimanesse – se ne avrà la forza, come gli auguro – per dare il tempo alla politica di approvare una riforma costituzionale in senso presidenzialista. Perché non ha senso una elezione diretta del Capo dello Stato se non si modifica il suo ruolo, al minimo con un sistema di tipo francese. Non so se accadrà. Mi limito ad augurarmelo. Che il nostro sistema mostri evidenti limiti ormai è però scontato. Persino l’emergenza pandemica ha fatto emergere questioni antiche, frutto di abborracciati interventi sulla Costituzione. Prima di tutto sui rapporti Stato-Regioni.
Ma la politica esiste ancora? La politica in senso alto, non la bassa manovalanza. Non in questi giorni, ma ormai da anni la politica è in crisi. La politica deve esprimere idee, cultura, programmi, deve saper guardare avanti di decenni, non limitarsi alla pesca delle occasioni. Chi vuole fare politica deve dire chiaramente agli elettori qual è la sua visione del futuro. E una visione alta non può rincorrere i mal di pancia di chiunque. Deve guidare, non seguire.
Non sono ottimista, onestamente. Da domani, bisogna esserne consapevoli, comincia una lunghissima campagna elettorale. Sarà senza esclusione di colpi, durissima, sia pur velata dal formale “non cambia nulla”, dal “va tutto bene madama la marchesa”. Sarà dura. Al di là della pandemia. Al di là della crisi energetica. Il Covid, magari lentamente, come tutti i virus sarà sconfitto. Il virus che ha colpito la politica non so.