Lavrov, Sergey, ancora. Cioè ancora sull’intervista-comizio concessa da Rete4 al ministro degli Esteri russo. Sgradevole, palesemente propagandistica. Esagerata al punto da costringere Putin a fare una telefonata di scuse al premierisraeliano Naftali Bennett, per la sortita antisemita del suo braccio destro. Ci torno da giornalista. Perché molto è stata criticata e continua a esserlo. Mentre io ritengo che, per quanto surreale, averla mandata in onda dimostri plasticamente la differenza tra una democrazia e una dittatura. Una differenza resa anche evidente dallo scoopdel “New York Times”, che ha rivelato l’aiuto dato dagli americani a Kiev per individuare ed eliminare alcuni generali russi, provocando l’ira di Biden. Uno scoopche il presidente ha definito <da irresponsabili>. E non lo dice a “Fox News Channel” ma a un giornale notoriamente liberal, che lo ha sostenuto contro Trump.
Potrei cavarmela col lapidario <è la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!>, con cui il grande Humphrey Bogart chiude Deadline – U.S.A.di Richard Brooks. O ricordare l’inchiesta del “Washington Post” che svelò il Watergate, lo scandalo che nel 1972 costrinse alle dimissioni Nixon. In una democrazia può accadere. È normale che accada ed è anche normale che pubblicamente si possa discutere su come è stata ottenuta e concordata quell’intervista. Ma ai dubbiosi, ai complottisti, agli equidistanti, ai pacifisti a corrente alternata, ai putiniani in servizio permanente effettivo e di complemento è sempre bene ricordare che cosa siano la democrazia, la libertà di pensiero, d’espressione e di stampa. Poi le democrazie sono imperfette. Come la stampa occidentale. Ma non c’è di meglio in giro.