Non era facile sintetizzare e analizzare in quattrocento pagine il decennio forse più complicato e oscuro della storia repubblicana. Gianni Oliva riesce nell’impresa senza sorvolare sugli eventi, ma anzi documentandoli con rigore, costruendo una narrazione approfondita e convincente. Con il condivisibile obiettivo – chiarito in sede di introduzione – di prescindere dall’ovvia condanna del terrorismo, privilegiando il tentativo di spiegare come sia stato possibile per un Paese occidentale uscito dal miracolo economico precipitare nella costante e sanguinosa minaccia eversiva contro lo Stato. L’autore ammette infatti che è ormai relativamente semplice raccontare i fatti di quegli anni a chi non li ha vissuti. «Altra cosa è “spiegare” perché è successo: perché in un’Europa occidentale che ha conosciuto altri fenomeni terroristici durati una stagione altrettanto sanguinosa ma breve, l’Italia è stata invece attraversata per vent’anni dalla violenza politica, con un bilancio di 1127 vittime, di cui 358 morti».
Si può spiegare, in realtà, avendo ben presente la situazione sociale degli anni Cinquanta-Sessanta, quelli, appunto del miracolo economico: «un paese a due velocità in netto contrasto tra loro. Da un lato vi è un’Italia parruccona, conservatrice, codina», dall’altro «l’Italia che scopre il rito delle ferie, affolla le spiagge della Romagna e della Liguria, canta Sapore di sale e Abbronzatissima; è l’Italia del Centenario, dell’Autostrada del Sole, di Fiumicino». «Due Italie opposte nella vita di ogni giorno, e due Italie opposte negli assetti istituzionali», nei quali permangono – nonostante la Costituzione – aspetti propri del fascismo e del prefascismo. La politica, rileva l’autore, non riuscì a governare il cambiamento derivante da una modernizzazione accelerata. Tali considerazioni non giustificano, naturalmente, quel che è accaduto, nel contesto internazionale – va detto – della “guerra fredda”, con un sistema bloccato dalla presenza del partito comuni- sta più grande dell’Occidente. Non giustificano, ma aiutano a capire le folli radici psicologiche dei terrorismi. «Due fenomeni eversivi di segno opposto […] che nascono dalla stessa realtà dell’Italia come “paese mancato” e che si alimentano l’uno contro l’altro, tra azioni devastanti negli effetti e ancora più devastanti nelle rappresentazioni». Oliva confessa di aver sentito all’epoca, come molti della sua generazione, «l’odore del piombo». Era in fondo facile saltare il fosso, per i “rossi” e per i “neri”. Persino banale. Quindi è necessario «ricostruire il semplicismo di quegli anni, la facilità con cui si è varcata la soglia tra la protesta e il crimine. Chi pensa ai terroristi come a personaggi pervenuti alla scelta delle armi dopo un percorso lacerante di approfondimento e di confronto, sbaglia». Ne deriva anche un utile ammonimento: «mai ammiccare alla violenza». Perché va ricordato che «la storia degli anni di piombo e di tritolo è soprattutto la storia di chi se ne è andato per sempre con una pallottola nella testa o il corpo dilaniato, senza sapere perché».
Gianni Oliva, Anni di piombo e di tritolo. 1969-1980, Mondadori, Milano 2022 [2019]