Sfoglio i giornali. Alla ricerca di qualcosa di interessante. Oltre il gossip. Oltre la guerra. Oltre il Covid. E al di là della sorte dell’“avvocato del popolo” Conte Giuseppe. <Ma che cosa vuole… – spiega il lucidissimo 85enne Rino Formica a Fabio Martini sulla “Stampa” – Giuseppe Conte è un avvocato, un avvocato legato al cliente che non ha pagato ancora tutte le parcelle e dunque non chiude una pratica sino a quando non se ne è aperta un’altra>. Titoli di coda. Fine.
Passo oltre. E scopro – dal “Giornale” – che qualcuno non crede alla secca del Po e va dicendo che le foto che circolano sono false. Non è che vanno a controllare. Insinuano il sospetto. Così, forse per divertirsi. Potrebbero giocare a tressette al bar, ma preferiscono volare alto. Se esistono i terrapiattisti, nulla mi stupisce. C’è ancora chi è convinto che l’uomo non sia allunato e che quelle foto siano state scattate in un set nel deserto del Nevada. Che cosa vuoi che sia negare la secca? Anche se è vera. Per tranquillità confesso di averla vista con i miei occhi poche settimane fa, guardando dal ponte della A13. Non è che non mi fidassi. Passavo da lì, direzione Bologna. Prima ho incrociato l’Adige, poi il Po. L’Adige era normale, il Po ridotto a un rigagnolo. Il perché della differenza è noto. Come è noto che si sta lavorando per evitare disastri. Altrettanto noto è che una secca del genere ci fu anche settant’anni fa, e altre minori più recenti. Poi ci sono state anche le alluvioni. Il che, tuttavia, non mi spinge a negare la gravità della situazione. C’entra il clima. Non amo i catastrofismi, ma certo qualcosa accade e dobbiamo preoccuparcene. Anche se Greta Thunberg è ormai silente.
Così, sfogliando i giornali, sulla “Stampa” trovo una paginata intitolata Se l’America nega la scienza serve la disobbedienza climatica. Lo spunto è una decisione della solita Corte Suprema che ha negato la legittimità dell’applicazione del Clean Air Act per costringere all’abbandono dei combustibili fossili nella produzione di energia. Niente petrolio, niente gas naturale, niente carbone. Niente. Ottimo. Vado a leggere il pezzo firmato da tale Peter Kalmus. In nota si spiega che trattasi di un climatologo, autore nel 2017 di Being the Change. Live Well and Spark a Climate Revolution (Essere il cambiamento. Vivi bene e innesca una rivoluzione climatica). Non me n’ero accorto, ma sembra sia stato un successo planetario. In realtà Kalmus è un fisico, che lavora nel Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Ed è anche, forse ormai soprattutto, un militante politico impegnato nella lotta ai cambiamenti climatici. Il 6 aprile scorso è stato arrestato per essersi incatenato alla porta dell’edificio JP Morgan Chase a Los Angeles. Protestava contro gli investimenti della banca in nuovi progetti di combustibili fossili. E va bene, per carità. Il fine giustifica i mezzi, se non fai male a nessuno.
Poi leggo. E scopro che – secondo Kalmus – Biden <ha approvato molti più permessi di trivellazione nel suo primo anno da presidente rispetto all’intero mandato di Trump>. Che bella, l’America. Il “demonio” rivalutato da uno scienziato militante. Non è naturalmente così, perché per Kalmus Donald e Joe pari sono nell’ignominia. E va bene anche questo. Cerco però nel testo una qualche proposta concreta, al di là dell’invito a mobilitarci tutti per la “disobbedienza climatica”. Cerco un’idea, anche strampalata. Chessó, pannelli solari che coprano tutto il Nevada. Un sistema per rendere più alte le onde oceaniche – senza provocare maremoti – e sfruttare l’energia derivante. Riempire le Montagne Rocciose e la Sierra Nevada si pale eoliche. Moltiplicare le centrali nucleari di nuova generazione. Una cosa qualsiasi, insomma. Perché, se questo fosse possibile, sottoscriverei. Magari faccio pure una donazione.
Ma questa idea non la trovo. Solo catastrofismo gratuito. Kalmus è seriamente preoccupato. E avverte il mondo, me compreso: <abbiamo un disperato bisogno di un governo che si adoperi per interrompere la distruzione della Terra>, perché <senza un pianeta vivibile, niente altro ha importanza […] milioni di persone e alla fine miliardi saranno sfollate e moriranno, il fascismo dilagherà>. E qui mi son fermato. Il fascismo no, Kalmus, ti prego. Non hai idea di che cosa sia stato il fascismo. Dimentichi persino che il tuo paese ha contribuito a sconfiggerlo. Se in termini storici non sai di che cosa parli, mi viene il sospetto che tu non sappia mai di che cosa parli. E mi fai tornare in mente Paul R. Ehrlich, che nel 1968 pubblicò The Population Bomb. Anche quello fu un bestseller, come il tuo. Cominciava così: <La battaglia per nutrire tutta l’umanità è finita. Negli anni ’70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame nonostante tutti i programmi di crash avviati ora. A questa data tardiva nulla può impedire un aumento sostanziale del tasso di mortalità mondiale…>.
Gentile Kalmus, abbiamo tanti problemi, ma non siamo morti. A fine maggio il catastrofista Ehrlich ha compiuto 90 anni. Buon per lui. Lunga vita. Vallo a trovare in Pennsylvania. Magari te lo spiega lui che con il catastrofismo diventi famoso, ma non aiuti l’umanità. Poi, che si debba studiare come salvare la Terra dai cambiamenti climatici e lavorare per questo è ovvio. Con razionalità, magari. I presunti profeti non aiutano.
È bella l’America. Con tutti i suoi difetti. È un paese talmente liberale da far pagare alla Nasa lo stipendio a un Kalmus. Che non sa la storia. E che pensa alla “disobbedienza climatica” come qualcosa di simile alla “disobbedienza civile”. Che è una cosa seria, quando serve. E in America è servita. Spesso.
Ps. Il Covid, sia pure in forma lieve, dà il tempo di leggere tutto nei giornali. Persino l’inutile. Chiudo la mazzetta e riprendo in mano un giallo, che è meglio.