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Il dadaista e la “scimmia mediterranea”

Luglio 8, 20220

Ho aspettato un po’, per capire come andava a finire questo sgangherato dibattito su Evola, Jules Cesare Andrea, come lo definisce un fascicolo della Polizia politica conservato all’Archivio Centrale dello Stato. Pittore, dadaista, pensatore tradizionalista, teorico di un equivoco “razzismo spirituale”, questi era Evola, per chi non lo conosca.

Il dibattito, meglio ancora la disputa, nasce dalla mostra delle sue opere – Julius Evola. Lo spirituale nell’arte – ideata da Vittorio Sgarbi e allestita al Mart di Rovereto. Mirella Serri, su “La Stampa”, ci ha scritto un pezzo per lamentare come, nella mostra, non si evidenziasse a tutto tondo la personalità dell’autore delle opere.
In effetti, anche sul sito del Mart, si dice solo <pittore e filosofo romano che partecipò attivamente all’Avanguardia italiana. Figura poliedrica, Evola visse una breva stagione artistica tra il 1915 e il 1922. Dopo un primo periodo futurista, l’artista prese le distanze dal movimento che definì “una sorta di slancio vitale del tutto sprovvisto di una dimensione interiore” e si avvicinò a Tristan Tzara e alle poetiche del Dadaismo, reinterpretato come “astrattismo mistico”. Presto abbandonò la pittura, intesa come esperienza iniziatica, per dedicarsi alla filosofia, all’esoterismo, a dottrine orientali, ermetiche, alchemiche. La sua produzione pittorica, limitata ma significativa, è testimonianza di una profonda tensione spirituale. Al Mart un nucleo di dipinti provenienti da collezioni pubbliche e private offre per la prima volta una visione di inedita complessità e ricchezza sull’artista>.

In sostanza, l’ignaro visitatore non troverà nessun riferimento al pervicace razzismo evoliano. Apriti cielo! Si espongono opere d’arte, non si fa l’elogio del suo pensiero, si è replicato. Se di ogni artista si dovessero spiegare i lati oscuri, forse nessuna mostra potrebbe essere allestita, si è aggiunto.

Non so valutare la qualità dell’Evola artista. Qualche sua opera dadaista l’ho vista, anni fa, esposta a Roma. E qui si ferma la mia competenza. Belle? Magnifiche? Straordinarie? Brutte? Non so dire. Non è il mio genere. Ma c’è di peggio. Se gli esperti acclamano hanno ragione. Poi i pareri sono diversi anche su Picasso, per dire. Dunque andiamo avanti. Se un quadro ti piace, come si chiami l’autore non mi pare rilevante. Certo, Evola non è tra i grandi del Novecento, ma se piace…

Il dibattito è stato sgangherato. Perché nessuno nega che si possano esporre opere di chiunque. Anche se, nel caso, somigliano molto all’<arte degenerata> condannata dal nazismo. Il paradosso sta nell’ammirazione di Evola per il nazismo, successiva al suo periodo dadaista. Ma è stato un suo problema, che poco ha a che vedere con i suoi quadri. Dunque, giusta l’esposizione. Magari, però, qualche riga biografica in più sull’autore ci poteva stare. Per rispetto dei visitatori, se non altro.

Contrario alla cancel culture, credo che non si debba abbattere e nascondere niente, ma piuttosto spiegare. Anche se si tratta della colonna balbiana di Chicago, di cui si discute da tempo e si ridiscute in questi giorni. Io sono anche contrario a cambiare i nomi delle strade. Un esempio. Nella targa di via Edoardo Zavattari, per dirne uno, aggiungerei a “biologo ed esploratore”, “Ha firmato il manifesto della razza”. Così, a futura memoria.

Invece il dibattito si è subito dipanato sulla difesa dell’Evola pensiero. Era, non era, chi era… Era o non era fascista? Era o non era nazista? Era o non era radicalmente razzista? Era un grande pensatore o scopiazzava Guénon? E così, all’infinito… Non se ne esce, perché gli ammiratori dell’Evola pensatore, non pittore, innamorati delle sue suggestioni culturali, non ammetteranno mai la verità, anche quando è palese. Quando sono onesti, azzardano solo che il suo razzismo era “diverso”, comunque marginale rispetto al suo pensiero. 

Ma marginale non era. Non fu un dettaglio caduco. Dunque è ancor più necessario ricordare. Magari quell’informativa che il console italiano a Vienna, Guido Romano, nel maggio del 1942 inviò agli Esteri, segnalando che il nostro pittore in una conferenza aveva definito gli italiani come tipi razziali di <scimmia mediterranea>. Non risulta si sia mai pentito pubblicamente di averlo detto.

Qualche mese prima, nel novembre del 1941, Evola parla a Berlino di “Italia e razza”. È presente lo storico Franco Valsecchi, che riferisce al diplomatico Attilio Tamaro. Il quale, nel suo diario (14/11/1941), riporta: Evola <ha affermato Roma antica significava la vittoria del gruppo ariano nordico stabilito nel Lazio contro il tipo italico gesticolante e verboso, da lui classificato come tipo della scimmia mediterranea>.

C’è dell’altro, sul Risorgimento, sugli ebrei ecc. Ma mi fermo qui. Perché non c’è altro da aggiungere. Ognuno valuti come vuole. Ecco, magari, dire ai visitatori della mostra che Evola è stato anche questo, ci poteva stare. Belli i quadri, bello tutto – direbbe il marchese del Grillo – ma il lato oscuro non va sbianchettato con un’alzata di spalle. O nascosto. L’essere umano è complesso. Meglio conoscerlo nella sua complessità. Poi, se qualcuno mi regala un quadro di Evola, lo metto in salotto.

Mi viene un dubbio. La polemica è stata provocata ad arte? Senza di essa, quanti sarebbero stati i biglietti venduti al botteghino? E quanti sono caduti nella trappola? Esagero? Può darsi. Ma a pensar male, diceva il divo Giulio…

Comunque, andateci al Mart di Rovereto. C’è il dadaismo evoliano, ma anche tanto altro e sicuramente vale il viaggio. Al massimo incrocerete qualche immarcescibile fedele adorante del “Barone”. Le polemiche saranno presto archiviate.

Ps.

Per chi fosse interessato, nella sezione RASSEGNA STAMPA di questo sito è pubblicato il dibattito, comprese le critiche, all’epoca suscitato dal mio libro Il razzista totalitario (2007).

Per i dubbiosi, cfr:

Romano a MAE, telespresso riservato, 22/5/1942, in Acs, Polizia Politica, fascicolo Evola.

Attilio Tamaro: il diario di un italiano, p. 588.

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Per chi vuol ragionare, l’intervento di Anna Foa su “Moked”:

Si discute se si possa o meno esporre in mostra i quadri di Julius Evola e se, nel caso, si debba apporre un testo che spieghi al pubblico chi era l’artista in questione: uso abbastanza abituale in molte mostre ed esposizioni in cui il visitatore desidera non soltanto giudicare esteticamente un’opera, ma anche inserirla nel suo contesto storico.
In questo caso, come ben ha scritto Mirella Serri, e pochi l’hanno sostenuta forse per paura di essere considerati nemici della libertà artistica, l’artista è stato uno dei più importanti antisemiti della storia del Novecento. Sua la prefazione del 1937, un anno prima delle leggi razziste, ai famosi Protocolli dei Savi di Sion, uno dei libri che più nella storia grondano sangue, dove fra l’altro si sosteneva che non aveva importanza che si trattasse di un falso, dal momento che era un falso veridico: la madre di tutte le affermazioni negazioniste che ancora affollano i nostri sempre più poveri dibattiti. Non solo. Evola è stato nel dopoguerra il nume ispiratore di tutti i movimenti dell’ultra destra, vicino ai gruppi attivi nell’attacco alle istituzioni democratiche, sempre protetto dietro la complessità del suo pensiero, superfascista e non fascista così come durante la guerra era stato più nazista che fascista. Un pensiero il suo non a caso prediletto da Himmler.
Oggi, a quasi cinquant’anni dalla sua morte, a lui si ispira colui che è stato uno dei maggiori numi tutelari di Trump, Steve Bannon, e fra i suoi seguaci spicca l’ispiratore ideologico di Putin, Alexander Dugin.
Se questo era ed è Evola, dobbiamo impedire una mostra dei suoi quadri? nNn credo, anche se avrei maggiori esitazioni se mi si chiedesse se dobbiamo boicottare una mostra dei quadri di Adolf Hitler. Ma dobbiamo a chi quei quadri li visita, li guarda, forse vi si ispira, spiegare di chi si trattasse e chi ancor oggi siano i suoi discepoli. Non proibire, ma dire. Mi sembra davvero il minimo.

Anna Foa, storica

https://moked.it/blog/2022/07/11/non-proibire-ma-dire/

 

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