Valevano un romanzo storico le vicende narrate in questo libro, costruito intorno alle pagine del diario di Alessandro Smulevich. Le sue pagine sono, sì, il cuore del libro, testimonianza viva di giorni trascorsi tra euforia e disperazione, tra ottimismo e angoscia. E non poteva essere altrimenti nel torno di tempo che va dal 25 luglio del 1943 al 6 dicembre del 1944, se vivevi a cavallo della Linea Gotica, tracciata dai tedeschi tra Massa e Pesaro, attraversando Toscana, Emilia e Marche. Ultimo quanto inutile schieramento destinato a impedire l’avanzata degli Alleati nella pianura Padana.
Per una famiglia ebraica quotidiano è il rischio della deportazione. Per tutti, è il rischio di essere coinvolti negli scontri armati, nei rastrellamenti, nei bombardamenti. Per tutti coloro che il 25 luglio, con la caduta di Mussolini, hanno sperato nella fine della guerra, è la delusione della guerra che continua con Badoglio a fianco della Germania, e poi dall’altra parte.
A stupire, nel diario, scritto dal ventenne Alessandro, non sono le reazioni alle date cruciali. Il 26 luglio è a Prato. E appunta: <Quella d’oggi è una delle più belle giornate della mia vita. Appena giunto in casa dei genitori alle 7 apprendo la sensazionale notizia della caduta di Mussolini e di tutto il governo fascista. […] Il treno delle 7.07, col quale mi reco a Firenze, ha 70 minuti di ritardo. Arrivo pertanto nel capoluogo alle 9. Dopo l’uscita straordinaria dei giornali, imponenti coserei di studenti con in testa la bandiera d’Italia si snodano per la città al grido “Viva Badoglio. Viva la libertà”. Intanto dalle finestre volano fuori quadri dell’ex Duce, che appena giunti a tra la moltitudine che sostava giù, venivano strappati, calpestati e dati alle fiamme. Alle cantonate delle strade altri gruppi di studenti squadravano tutti i passanti per vedere se avevano ancora il distintivo del Partito Fascista. Quei pochi “eroi” che ancora lo portavano venivano presi a pugni ed a schiaffi, strappando loro dal bavero l’ormai inutile pezzetto di ferro>. Questo accadde a Firenze. Ma è accaduto ovunque. Più o meno con le stesse modalità.
8 settembre, ancora Firenze: <Mentre stavo lasciando l’ufficio in serata, apprendo dai crocicchi di persone lungo la strada che Radio Algeri aveva comunicato che l’armistizio con l’Italia era stato firmato. Dapprima non ci badai, essendo già stati una volta nel mese scorso crudelmente ingannati>. Poi, nel treno verso Prato, <tutti sembravano diventati matti> e dal finestrino si vede che <su tutte le colline e le montagne circostanti erano stati accesi fuochi a centinaia>. Il giorno dopo scopre che la stazione di Bologna <è stata occupata dal nuovo nemico: il tedesco>. Insomma, nulla è finito. Si ricomincia.
Non sono queste note a stupire, dicevo, anche se sono utilissime per ben capire l’atmosfera di quei giorni, di quei mesi. Stupisce, invece, la capacità dell’autore di appuntare con apparente freddezza la vita quotidiana, che sembra immutabile, persino serena, mentre intorno i pericoli e le tragedie si moltiplicano. Il 4 ottobre: <Mi levo alle 5.30 per dire le “Selihoth”. Alle 7 faccio colazione, avviandomi col ciclo alla stazione […] Pranzo in ufficio avendo portato il mangiare da casa: due polpette di carne, pane, alcune polpette di riso, una bottiglina di latte e una mela>. Alessandro Smulevich registra. Senza aggettivi. Anche quando scopre, il 29 novembre, che la condizione dei “internati liberi” si sta trasformando in persecuzione. Già dal primo novembre non era più uscito di casa. Troppo pericoloso.
<Ciò che rende questo diario davvero straordinario – nota giustamente nella prefazione Anna Foa – è il modo in cui è scritto, le minuziose descrizioni che l’autore fa delle vicende che vive, descrizioni che sono anche quelle della sua vita clandestina, dei colloqui con i suoi salvatori, dei conflitti con il cugino, delle paure, delle emozioni, fino alla descrizione de cibo quotidiano. Ma a questi si uniscono i momenti in cui nel diario appare, come in una fotografia, la grande storia. Brani eccezionali, che ci informano del progredire dell’avanzata alleata e delle vicissitudini delle persecuzioni contro gli ebrei>. <La sensazione più forte che si ha, leggendolo, è quella di un tempo sospeso, il tempo dell’attesa>.
Per questo il diario va letto. Prima o dopo – se si preferisce – le note di approfondimento e biografiche dei curatori. Perché nel libro c’è un uomo. Ma anche la storia corale di una famiglia allargata, dell’Italia dell’epoca e, in fondo, della peregrinazione toccata agli ebrei nel Novecento europeo. Perché gli Smulevich sono di origine polacca. Approdano nella Fiume “ungherese”, dove è nato Alessandro, nel 1923. Nel 1938 viene loro revocata la cittadinanza italiana. Nel 1940 il padre Sigismondo viene confinato a Campagna, nel Salernitano. Riesce a farsi trasferire prima a Firenze e poi a Prato, come “internato libero”, con obbligo di firma quotidiana. Dopo l’occupazione tedesca Alessandro, con i genitori, la sorella e il cugino si rifugiano a Firenzuola, in pieno Appennino, dove trovano ebrei internati e dei benefattori, le famiglie Matti e Angeli del titolo. Saranno riconosciuti Giusti delle Nazioni.
Intorno ad Alessandro si muovono i co-protagonisti della storia corale. Sono tanti e ciascuno è parte della narrazione. I Matti e gli Angeli, naturalmente. La fiumana Rosemarie Benedikt detta Ciuci, la pratese Lia Sara Millul, Leone Camerino di Pitigliano e Angelo Sadun, Goffredo Paggi di Pitigliano, espulso dal PNF nel 1938, deportato ad Auschwitz, dove morì nel maggio del 1944. E ancora, il persecutore di Firenze, Giovanni Martelloni, e Mariano De Vita, il poliziotto di Prato che avvertì gli ebrei di un rastrellamento, e ancora, e ancora… Ogni pagina merita attenzione.
Alessandro Smulevich, Matti e Angeli. Una famiglia ebraica nel cuore della Linea Gotica. Diario 1943-1944, a cura di L. Ardiccioni, R. Marcato, E. Smulevich, prefazione di Anna Foa, Pendragon, Bologna 2022.
(Nell’immagine in evidenza la sede della sartoria Smulevich a Fiume, negli anni Trenta, tratta dal libro)