Anche il Senato ha dunque votato la fiducia al governo guidato da Giorgia Meloni. Hanno a favore 115 senatori, contro 79, astenuti 6. Sei gli assenti. I numeri contano. Perché in questi giorni si è molto discusso sulla fragilità della maggioranza nella cosiddetta Camera Alta. Perché il Senato è composto da 206 membri: ai 200 eletti si aggiungono i 6 senatori a vita. Una istituzione che, francamente, suona retaggio dell’Italia monarchica. La Costituzione lo ha recepito, pur con dei limiti numerici. Sono uguali agli eletti. Hanno il diritto di voto. Ma sono un’anomalia. È accaduto che il loro voto, anche uno solo, sia risultato decisivo. Questa volta non si sono presentati, o si sono astenuti, ma potrebbero farlo.
Se si vuole dare a personalità di rilievo un riconoscimento istituzionale basterebbe nominarli, ma senza diritto di voto attivo e passivo. Altrimenti la democrazia elettiva potrebbe dipendere da personalità non scelte dai cittadini. Il che è paradossale. Vale anche per gli ex presidenti della Repubblica, senatori a vita di diritto.
Comunque, a causa di questi 6 non eletti, la maggioranza assoluta al Senato non è di 201 voti, ma di 204. Il centrodestra ha 116 senatori, ma il presidente di palazzo Madama, come quello di Montecitorio, non vota. Dunque i voti disponibili sono 115. Una teorica opposizione compatta, compresi i 6 senatori a vita, ne conta 90. Una maggioranza larga, che tuttavia deve fare i conti con i 9 senatori divenuti ministri, che difficilmente possono essere sempre presenti.
È vero che, per vari motivi (salute, missioni, scelta) le Camere non sono mai al completo. Tuttavia basta una malattia, il ritardo di un treno o di un aereo, non proporzionale ai gruppi, e le cose possono complicarsi.
È un ragionamento aritmetico-ipotetico, che può diventare sostanza. Per questo è stato importante il voto di oggi. Come è stato importante quello della Camera. Dove la maggioranza è più larga e si è registrato il voto compatto del centrodestra (salvo un assente), al quale si è aggiunto un manipolo di astenuti, 3 dei quali in rappresentanza delle minoranze linguistiche. Stessa scelta dei due senatori altoatesini. Può sembrare strano, ma i tre deputati e i due senatori hanno dichiarato formalmente di non aderire alla maggioranza, ma di valutare nel merito i provvedimenti. Da qui l’astensione. Un atteggiamento che era frequente nella cosiddetta Prima Repubblica, ma ormai dimenticato.
Comunque la maggioranza c’è. Ampia. Coesa sui principi e sulle cose da fare. L’intervento di Berlusconi in dichiarazione di voto ha smentito ogni illazione. Soprattutto quando ha affermato che <non possiamo che essere con l’Occidente, nella difesa dei diritti di un Paese libero e democratico come l’Ucraina. Noi dobbiamo lavorare per la pace e lo faremo in pieno accordo con i nostri alleati occidentali e nel rispetto della volontà del popolo ucraino. Su questo la nostra posizione è ferma e convinta, è assolutamente chiara e non può essere messa in dubbio da nessuno, per nessun motivo>.
Poi tra i partiti della coalizione la dialettica, le tensioni, ci sono e ci saranno, com’è normale. Ma la temuta, o sperata, dipende dai punti di vista, maggioranza fragile si è rivelata un sogno, svanito all’alba. Né sarà sulla scelta dei sottosegretari che non si troverà la quadra.
Ora tocca al governo. Giorgia Meloni ha ereditato un’Italia con mille problemi. Alcuni antichi, altri recenti e causati dalla congiuntura politico-economica internazionale. Il suo programma è chiaro e ambizioso. Vuole tornare a far avanzare la nave Italia. Ha parlato forte e chiaro, a tutto tondo. Si è confermata una leader politica di alto spessore.
L’opposizione contrasterà il governo, in modo non compatto, sembra, ma è la sua funzione. C’è da sperare che lo faccia nel merito dei provvedimenti e non sulla fuffa delle desinenze. O sul nuovo nome del ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare. Uguale a quello francese. Ma subito si è ironizzato sulla neo-autarchia. Una pena. Ecco, forse conviene cambiare argomenti. Il tema è, tra i tanti, serissimo.
Va detto che calendiani e renziani si sono smarcati dalla fuffa. L’opposizione si conferma non monolitica. Si dovrà parlarne al plurale. I dem sono in grave difficoltà. I pentastellati hanno lanciata l’opa nei loro confronti. Il cosiddetto terzo polo gioca un’altra partita.
Poi, come cittadini elettori, giudicheremo i fatti. Ma i primi passi sono positivi. Giorgia Meloni ha presentato un programma vasto, coraggioso. Rispetto al tran tran di decenni. Ha delineato una sorta di rivoluzione gentile. Mi piace. Auguri.
Per chi avesse curiosità e pazienza, qui il discorso programmatico pronunciato alla Camera e consegnato al Senato: