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Ebrei in Italia, la storia

Novembre 14, 20220

Solo una grande storica – e grande scrittrice di storia – poteva sintetizzare in 252 pagine, senza rinunciare alla profondità dell’analisi, venti e più secoli di presenza ebraica in quella che oggi chiamiamo Italia. Chi vorrà leggere questo Gli ebrei in Italia. I primi 2000 anni di Anna Foa (Laterza, 2022) non potrà che condividere con me questo giudizio. Come la mia convinzione che questa presenza è necessaria, indispensabile, per altri 2000 e più anni, fino alla fine dei secoli. Può apparire un’iperbole, ma non credo lo sia. Se, come italiani non ebrei, siamo quel che siamo, molto dobbiamo a quegli italiani ebrei che hanno camminato con noi, al nostro fianco, con noi intrecciandosi e con noi costruendo una cultura, una storia, con tutte le sue contraddizioni, con le sue luci e le sue ombre.

Forse non ce ne rendiamo conto. Forse non capiamo fino in fondo quanto l’ebraismo sia stato semente e concime. Sugli ebrei in Italia esiste una vasta bibliografia. Ma rari sono gli studi capaci di offrire una visione d’insieme sintetica, scorrevole e al tempo stesso rigorosa. Anna Foa questo offre al lettore: un quadro chiaro, che può essere stimolo per ulteriori approfondimenti su questo o quell’aspetto di un percorso storico, ma non tralascia nulla e tutto fa capire di questa storia. Che comincia a Roma, forse nell’anno <161 prima dell’era volgare>, e non ha fine. La data è incerta. Certo è che in quell’anno Giuda Maccabeo inviò a Roma un ambasciatore. È probabile che a Roma già vivessero coloni e mercanti ebrei. Non avrebbe senso, altrimenti, il decreto di espulsione dalla città di astrologi, caldei ed ebrei, accusati di fare proselitismo religioso, emanato 22 anni dopo.

Da questo inizio si dipana la narrazione, con al centro sempre gli ebrei della penisola, <culla della diaspora occidentale>, <né ashkenaziti né sefarditi: italiani>, appunto. L’epoca romana, il Medioevo, gli stereotipi nascenti, gli scienziati, i consiglieri dei principi, i marrani, l’epoca dei ghetti, gli ebrei ricchi e gli ebrei poveri, il contrastato ma per certi versi proficuo rapporto con la Chiesa, e insieme il persistente antigiudaismo cattolico, l’emancipazione e il ruolo nel Risorgimento. Infine il crinale tra Ottocento e Novecento, con l’antisemitismo politico che si diffonde in Europa, ma meno tocca l’Italia, dove il sionismo fatica ad attecchire.

Gli ebrei sono e si percepiscono italiani. E combattono nella Grande Guerra, assistiti dal rabbinato militari. Uguali tra uguali. Fino agli anni Trenta. Quando con il fascismo l’antisemitismo politico comincia a dominare la scena. L’essere stati fascisti o antifascisti, come tutti, non conta più. Ed ecco le leggi razziste, la discriminazione, la persecuzione, la deportazione. Ma non è finita.

<La fine della guerra e il ritorno alla democrazia – nota Anna Foa – portavano con sé il problema di riparare ai torti fatti agli ebrei fra il 1938 e il 1945. […] L’abolizione delle leggi del 1938 non significò, però per gli ebrei, un ritorno automatico alla situazione precedente l’introduzione dell’antisemitismo di Stato>. Riconosciuti i diritti civili, difficile fu recuperare i beni confiscati e i ruoli ricoperti nella società, nella scuola, delle università.

<Ma quanto aveva attecchito fra gli italiani l’antisemitismo? Su tale questione, sul consenso sostanziale del popolo italiano di fronte alle leggi antisemite, sia pure in un regime dittatoriale, – ricorda Anna Foa – calò nel dopoguerra il silenzio. Nessuno, neppure fra gli ebrei, s’interrogò su cosa avessero significato, anche in termini di diffusione dell’antisemitismo fra la gente comune, sette anni di persecuzioni, sottrazione dei diritti e propaganda. La riflessione storica sulle leggi del 1938 avrebbe reso piede solo molti decenni dopo>. Neppure della Shoah si volle parlare ad alta voce. Come se quegli anni fossero una parentesi da dimenticare in fretta. <Molti scrissero senza voler o poter pubblicare. Così il libro di Bruno Piazza, Perché gli atri dimenticano, scritto nel 1945 e pubblicato postumo solo dieci anni dopo; così innumerevoli altre memorie, di ebrei e di deportati politici>.

Tutto stava cambiando, nel nuovo mondo dei blocchi, della guerra fredda, mentre nasceva lo Stato d’Israele. Appoggiato dall’URSS ma subito rinnegato, anche dai comunisti italiani. Nasce la questione palestinese. E con essa il terrorismo, ancora con gli ebrei vittime. Così <Il rapporto con Israele è divenuto, insieme con la memoria della Shoah, il pilastro su cui si basa l’identità degli ebrei del terzo millennio>, anche in Italia. E la storia torna a farsi molto complessa, dolorosa. <Gli ebrei europei, e con loro gli italiani, – lamenta Anna Foa – non hanno saputo cogliere l’occasione del crollo del comunismo per rimettere insieme i due mondi ebraici europei, divisi da quasi cinquant’anni>. Tuttavia, per quanto riguarda l’Italia, nel presente, del rapporto tra ebrei e non ebrei italiani è difficile discutere <come se si trattasse di modi nettamente separati […] Certo gli ebrei sono consapevoli di appartenere a una minoranza […] Quanto ai non ebrei, è difficile pensare che essi sentano di appartenere ad una maggioranza nei confronti degli ebrei>.

Non tutto è così facile e scontato. L’antisemitismo emerge ciclicamente, come un fiume carsico. Ma l’autrice è però poco convincente quando sembra lasciar intendere che, accanto alla non separatezza, si manifesti un dialogo solo o prevalentemente “istituzionale” piuttosto che – come accade – tra le persone. Comunque in Anna Foa resta una speranza. Perché <Per molti e diversi motivi, l’Italia ha consentito, più di altri luoghi europei, questo incontro, con conseguenze importanti sulla società, sulla cultura, sulla vita stessa della maggioranza quanto della minoranza. Siamo forse – scrive – in un momento di crisi, un punto basso di questa storia sempre altalenante. Ma siamo fiduciosi che la spinta verso il mondo dell’altro non venga meno>. E questo suo libro si manifesta come un tassello importante di questo auspicabile, necessario percorso.

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