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“Ya kyyanyan” / “Ich bin ein Berliner”

Febbraio 21, 20230

Chissà se a Joe Biden è passato per la mente, nella sua inaspettata e rapida vista in una Kiev dove suonavano gli allarmi, di replicare il  “Ich bin ein Berliner” pronunciato da John Fitzgerald Kennedy a Berlino Ovest il 26 giugno 1963. “Ya kyyanyn”, io sono keviano, avrebbe potuto scandire in ucraino. Ma forse, se lo ha pensato, il suo staff lo ha sconsigliato di usare toni che avrebbero evocato troppo esplicitamente la guerra fredda. Son passati quasi sessant’anni da quella giornata berlinese e da quella frase che ha fatto passare alla storia il suo predecessore, ucciso a Dallas pochi mesi dopo. La citazione sarebbe stata esagerata. E in fondo errata. Perché qui non si tratta di guerra fredda. Da quasi un anno, da quel 24 febbraio del 2022, in Europa, si tratta di guerra vera. Guerra di aggressione russa e di difesa ucraina. Si tratta di difendere, in ogni modo possibile, il diritto di una nazione all’indipendenza e alla libertà.

Biden ha detto tuttavia qualcosa di simile: “Un anno dopo, Kiev resiste. La Democrazia resiste. Gli americani stanno con voi e il mondo sta con voi”. Parole diverse, ma il significato è quello. L’Occidente, con tutti i suoi difetti, a cominciare da quelli americani, non vuole consentire alla Russia post-sovietica di impedire ai popoli che vivono oltre i suoi confini di sottrarsi a un vassallaggio neo-imperialista.

La questione è naturalmente complessa, ma al tempo stesso semplice. A prescindere dalla propaganda, la Russia non è una democrazia liberale. È una autocrazia, con una sorta di aspirante Zar che anche l’anno prossimo sarà rieletto. Liberi i russi di accettarlo. Liberi gli occidentali di ritenere che il potere politico debba avere un limite temporale, e la guida di una nazione debba essere realmente contendibile. Il problema si pose proprio negli stessi democratici Stati Uniti. Franklin Delano Roosevelt fu eletto per quattro mandati consecutivi e governò dalla Casa Bianca dal 1933 alla morte, nel 1945. Era legittimo. Ma gli americani capirono che era troppo. E limitarono la rieleggibilità consecutiva a due quadrienni. Le democrazie hanno anche il vantaggio di sapersi correggere.

Putin ovviamente non ha preso bene il blitz di Biden. Il che era abbastanza scontato. L’occasione è stata immediata: il discorso sulla nazione al parlamento russo. A parte le minacce nucleari, che possono preoccupare ma non sono molto credibili, due passaggi del suo discorso sono particolarmente significativi. “Milioni di persone in Occidente – ha detto – stanno andando verso una catastrofe spirituale, è una follia”. Da capo politico Putin cerca di trasformarsi in guida morale, non solo del suo popolo, ma dell’umanità. Dimostrando così di essere lui vicino alla follia. Il suo modello è una sorta di teocrazia talebana. È, in fondo, il vizio di ogni dittatore, che non sa più distinguere i piani civili da quelli religiosi.

Giorgia Meloni a Bucha

Il secondo passaggio riguarda l’Italia. Non può essere un caso che Putin abbia chiamato in ballo il nostro paese mentre il presidente del Consiglio Giorgia Meloni entrava in Ucraina. “La Russia – ha detto il neo Zar – sa essere amica e mantenere la parola data, non deluderà nessuno e sosterrà sempre i suoi partner in situazioni difficili, lo dimostra il nostro aiuto ai Paesi europei, come l’Italia, durante il momento più difficile della pandemia di Covid, esattamente come stiamo andando in aiuto nelle zone del terremoto”. Le zone del terremoto sono quelle della Siria, dove Assad governa dal 2000 grazie al sostegno anche militare di Mosca. L’aiuto all’Italia si riferisce alla missione nel marzo 2020, quando a Bergamo, d’intesa con il governo Conte, arrivarono 104 militari russi. Poi pretesero di entrare anche in siti sensibili. Respinti, tutto finì, ma è ancora da chiarire quali fossero i veri obiettivi dell’intervento “umanitario”. Che per questo gli italiani debbano eterna gratitudine a Putin è un filo sopra le righe.

La sortita suona piuttosto come un avvertimento. Al quale, di fronte alle fosse comuni di Bucha, Meloni ha risposto in verità nettamente quanto pacatamente: “Una parte del mio cuore sperava in parole diverse sulla possibilità di mettere fine a questa guerra. Invece abbiamo ascoltato parole di propaganda che già conoscevamo. Ma i fatti sono diversi da quel che Putin racconta. Lui è l’aggressore e l’Ucraina è la vittima dell’aggressione. Lui è il responsabile di tutto questo. Dice la propaganda russa che qui in Ucraina c’è un regime e che loro vogliono liberare il popolo ucraino. Ma io qui non vedo un regime, vedo gente che chiede al governo di combattere contro i russi. Sono venuta a vedere a caldo la vita della gente distrutta senza che ci sia una ragione”. “Con voi fino alla fine”, ha assicurato agli ucraini.

Anche qui, nessun “io sono keviana”. Ma, insomma, il senso è quello. L’Italia sta facendo la sua parte. Dalla parte giusta. Con buona pace dello Zar.

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