Dunque, banalmente, un anno finisce stasera e domani ne comincia un altro. Tempo di bilanci, come tradizione vuole. Anche per i media. È un po’ stucchevole, ma i giornali – tutti, con qualunque mezzo siano diffusi – son fatti così. Per settimane si preparano paginate sugli eventi principali (opinabili) dell’anno che muore, e sulle prospettive di quello che nasce.
Personalmente, il 2023 non mi è dispiaciuto. A parte l’inevitabile passare del tempo. Se mi guardo indietro ne ho vissuti di peggiori. E, per quanto mi riguarda, il 2024 potrebbe anche essere migliore. Sarò stato fortunato. Ma il bilancio dipende da che cosa ti aspetti. Se ti aspetti di diventare miliardario è difficile che tu possa essere contento. Ma ognuno ha il suo carattere. Diventare miliardario non è il mio sogno.
A parte il privato, che riguarda se stessi, la famiglia e gli amici veri, dobbiamo riconoscere che continuiamo a non vivere in un Paradiso Terrestre. Non abbiamo cambiato il mondo, e neppure l’umanità. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ma esiste quel mondo? Può esistere? In realtà dipende da ciascuno di noi, dalle nostre scelte quotidiane. Dalla somma delle scelte quotidiane di ogni abitante di questo nostro pianeta. Possiamo pensare che queste scelte siano tutte positive, o almeno lo siano in maggioranza? Vaste programme, avrebbe obiettato De Gaulle. Talmente vasto da essere inapplicabile.
In ogni caso, ci sono almeno due modi di guardare al futuro. Per restare alla nostra Italia, qualcuno è preoccupato perché nel 2024 ricorre il centesimo anniversario della dittatura. Così si comincia male. Perché, in punto di storia, la trasformazione del governo Mussolini in regime autoritario avviene sette mesi dopo l’omicidio Matteotti, a partire dal suo discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera. La dittatura si manifesta tale non cent’anni fa, ma 99 anni addietro. In ogni caso circa un secolo fa. Un secolo. Lungo. Durante il quale il mondo è cambiato e, per fortuna, le dittature non sono neppure ipotizzabili nella parte del mondo che, per convenzione, chiamiamo occidentale e democratico. L’Italia di allora non esiste più. Con tutti i nostri problemi, che non sono in verità solo nostri, non corriamo quel rischio.
Non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma in giro c’è molto di peggio. E con quel peggio il nostro mondo deve e dovrà confrontarsi. Posso sbagliarmi, naturalmente, ma non credo che si arriverà alla terza guerra mondiale. A rendere questa ipotesi poco credibile non è la politica, ma l’economia interconnessa, globalizzata, se vogliamo.
Mi ha stupito, giorni fa, leggere i reportage americani di Georges Simenon. Grande scrittore, non solo di gialli, ma anche grande giornalista. Simenon aveva già girato il mondo. Nel 1946 si trasferì prima in Canada e poi negli Stati Uniti. Il perché di questa scelta è noto. Nella Francia occupata del 1941 firmò un contratto per la riduzione cinematografica di nove romanzi con la tedesca Continental Films. Dunque, a guerra finita, fu accusato di collaborazionismo. In realtà per Simenon erano solo affari. Il vero collaborazionista era il fratello minore Christian, ricercato per una strage. Georges lo spinse ad arruolarsi nella Legione Straniera, e come legionario morì qualche anno dopo.
Non tirava, comunque, buona aria per il cognome Simenon. E Georges partì. Continuando a scrivere e pubblicare i suoi romanzi e le sue corrispondenze per i giornali francesi. Al di là del dato biografico, mi ha colpito come racconta come fosse diversa negli Stati Uniti, rispetto alla sua Francia (sua, per quanto fosse belga frasncofono), la disponibilità degli elettrodomestici. In particolare la lavastoviglie. In Italia, come in Francia e negli altri paesi europei, cominciò a diffondersi negli anni cinquanta, lentissimamente. Era stata inventata alla fine dell’Ottocento dall’americana Josephine Cochrane. Nel 1924 l’inglese William Howard Livens brevettò la versione domestica. Si diffuse, appunto, in America.
A casa mia la ricordo a metà degli anni Sessanta, molto dopo la televisione, arrivata qualche anno prima. A proposito di anniversari, la Rai cominciò a trasmettere i programmi televisivi nel 1954, settant’anni fa. La televisione era nata in Italia nel 1939, in realtà, ma tutto si fermò con la guerra.
Oggi la lavastoviglie appartiene al mondo, anche se nei paesi poveri è meno diffusa che nei paesi ricchi. Ma non sorprende più nessuno. Nel frattempo la televisione, come strumento fisico, sta passando di moda, con la diffusione planetaria dei computer e dei telefonini. Tutto cambia. Se di guerra globale si può parlare, riguarda la conquista dei metalli rari, a cominciare dal litio, del quale fa incetta la Cina.
Tutto bene, dunque? No, per niente. Perché l’economia globalizzata ha dei vantaggi e molte controindicazioni. Se ti manca il litio, per esempio, non produci batterie. Il sottosviluppo esiste ancora, soprattutto in Africa, in gran parte vittima di un neo-colonialismo economico. L’equilibrio mondiale è dunque instabile, Camminiamo su un filo. In questo contesto nascono le guerre presenti e, forse, future. Non per l’accaparramento del frumento o delle terre rare. Quella è una guerra economica. Il vero problema nasce dalla crisi che investe alcune potenze mondiali. Ne deriva la nostalgia della potenza perduta. E la volontà, che emerge al vertice delle autocrazie, di mascherare con un sussulto di neo-imperialismo aggressivo. Per questo Putin ha aggredito l’Ucraina. L’implosione dell’Unione Sovietica e del suo impero ha determinato per la Russia lo scadimento dal ruolo di potenza mondiale a quello di media potenza regionale, nonostante le sue enormi dimensioni. Prima, Mosca tutelava la Cina. Oggi la Cina tutela la Russia. Fino a un certo punto, secondo i suoi interessi.
Il mondo che era stato comunista, si è trasformato, rimanendo autocratico. La Russia, dopo una prima fase di sviluppo economico, si è impoverita. La Cina, con il suo capitalismo di Stato, è cresciuta a dismisura ma comincia a conoscere la crisi. Peraltro mentre l’India continua a crescere. Piccoli segnali, ma non irrilevanti. Lo è persino il ripensamento italiano della via della seta. Lo è, ancor di più, la decisione del nuovo presidente argentino Javier Milei di uscire dall’alleanza economica Brics per aderire all’Ocse. La prospettiva della de-dollarizzazione degli scambi mondiali si allontana.
Il mondo è in movimento. E si torna indietro, all’imperialismo come via d’uscita dalla crisi interna. Può essere una mossa illusoria. Ma di questo si tratta. Nel messaggio televisivo di fine anno Putin ha proclamato che <Nessuno fermerà la Russia. Non arretreremo mai>. Il leader cinese Xi Jinping gli ha fatto eco affermando che <Taiwan sarà sicuramente riunificata alla Cina>. I proclami bellici come arma di distrazione di massa dei popoli. Facili in quella parte del mondo che, dopo la seconda guerra mondiale, non è mai riuscito a intraprendere la strada della democrazia.
Per quanto ci riguarda, come Italia e come Occidente, è fondamentale essere consapevoli di essere dalla parte giusta. La parte sbagliata è quella loro. Ecco, questi sono i veri compiti a casa per il 2024: studiare, capire. Quanto alle guerre militari in corso, sia in Europa sia in Medioriente, trattare, trattare sempre. Senza mai dimenticare, però, la differenza tra aggressori e aggrediti. Poi, dei diritti civili in Cina, in Russia, in Iran e dintorni, parleremo, magari a gennaio,
Ps. Se qualcuno volesse leggere
i reportage
di Simenon, eccoli, appena usciti.