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Lo Zar di carta

Marzo 26, 20240

Torniamo al 24 febbraio 2022. La Russia invade militarmente alcune province orientali dell’Ucraina. Probabilmente avrebbe dovuto essere una guerra lampo. Una annessione facile, come quella della Crimea nel 2014. Questo sperava il Cremlino. Sbagliando. Non immaginava una efficace reazione militare di Kiev. Che, invece, c’è stata. E la guerra è ancora in corso. Il che dimostra la debolezza interna del regime autocratico instaurato da Vladimir Putin. Una debolezza che può apparire paradossale, eppure è alla base dei tragici eventi che si stanno susseguendo da quella data. Una debolezza politica ed economica, che ha determinato, negli anni, il decadimento del ruolo internazionale dell’ormai ex grande potenza.

Se si vuol cercare di capire che cosa è accaduto e sta accadendo da questa presa d’atto bisogna partire. L’autocrate aveva promesso, fin dalla prima elezione alla presidenza, che avrebbe fatto grande la Russia, risalendo la china dopo il tracollo dell’Unione Sovietica e del suo “blocco”. L’ex funzionario del KGB ha fallito. Invece della risalita ha gestito un lento declino. L’invasione dell’Ucraina doveva essere una svolta. L’autocrate aveva bisogno di una vittoria per consacrare il suo ruolo di capo indiscusso e indiscutibile. Psicologicamente, ne aveva bisogno per passare alla storia. Invece ha certificato la debolezza del suo “impero”. Con il passare dei mesi, questa debolezza si conferma, appare sempre più evidente agli occhi del mondo.

Qualche data?

20 agosto 2022. Alla periferia di Mosca viene uccisa in un attentato Daria Dugina, figlia del “filosofo” di riferimento di Putin, Aleksandr Dugin, fautore della guerra all’Ucraina. Nulla più se ne sa. Archiviato.

23 giugno 2023.  Evgenij Prigožin, capo delle milizie mercenarie della Wagner, dopo aver criticato l’incompetenza dei vertice militare della guerra contro l’Ucraina, si ribella e guida le sue truppe verso Mosca. Conquista di Rostov sul Don. Accetta di deporre le armi e di andare in esilio in Bielorussia, Stato satellite di Mosca. Il 23 agosto muove in un “incidente” aereo.

16 febbraio 2024. L’attivista anti Putin Aleksej Navalny muore in circostanze misteriose in Siberia, nel campo dì concentramento di Charp. Praticamente un Gulag. Il Cremlino non riesce a impedire la partecipazione popolare al suo funerale.

17 marzo 2024. Putin viene rieletto presidente con quella che, un tempo, si sarebbe definita maggioranza bulgara. Senza avversari credibili, la rielezione era scontata. Ottenuta la formale consacrazione, la debolezza dello Zar non è archiviata.

23 marzo 2024. Un commando di terroristi islamici dell’ISIS-K, l’autoproclamato Stato Islamico presente con le sue cellule in molti paesi del medioriente, compie una strage al Crocus City Hall, periferia di Mosca, replicando l’azione del 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi. Curiosamente, in entrambi i casi, durante un concerto rock. Curioso ma spiegabile, nella logica del fondamentalismo islamico.

Ne deriva, per lo Zar, la una crisi di immagine sempre più accentuata. Le forze armate russe non riescono ad avanzare in Ucraina, che l’Occidente non poteva che sostenere. La sicurezza interna non è garantita dall’intelligence. Putin si rivela uno Zar di carta.

Potremmo stare a guardare, soddisfatti dal declino moscovita. Magari sperando in una implosione del regime, come accadde con l’Unione Sovietica. In realtà, mentre anche in medioriente la crisi di Gaza non vede  ancora sbocchi positivi, nonostante il consiglio di sicurezza dell’Onu abbia chiesto il cessate il fuoco, il declino russo, le difficoltà della Cina, le minacce nordcoreane, non fanno che confermare quanto gli equilibri mondiali siano fragilissimi. Non è una bella notizia. Non si tratta di pessimismo, ma di realismo. Possiamo solo augurarci che le democrazie occidentali trovino una visione comune. Qualche segnale si intravvede. Ma ancora prevale la nebbia. E putiniani di vario colore, mascherati da pacifisti, circolano anche tra noi.

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