Accadeva tanti anni fa. Direi un quarto di secolo fa, mese più mese meno. Il medico mi “ordinò” di nuotare. Non in vacanza al mare, in piscina. L’ordine non era perentorio. Era un consiglio. Poi, mi disse, faccia come le pare. La piscina non mi piaceva e non mi piace, ma obbedii. Aveva ragione lui. Dunque mi iscrissi a un corso di nuoto nella piscina più vicina a casa. Perché un corso? Perché pensai che avendo un appuntamento fisso sarei stato psicologicamente costretto a frequentarlo. Per rispetto al maestro, e anche al gruppo. Settimana dopo settimana si diventa anche quasi amici. Ci si conosce. Se uno manca ci si chiede che cosa gli sia successo. Ci si preoccupa. Gruppo misto. Uomini, donne, giovani, anziani, ragazzi, ragazze. Nel gruppo c’era anche un ragazzo affetto da sindrome di Down. Simpatico, gioviale. Un “amicone”, direi. Tutti noi, “normali”, anche se più o meno “sciancati”, all’inizio eravamo un po’ perplessi. Povero ragazzo, ci si diceva. Si sentirà “diverso”. E non si sentirà anche in colpa, magari perché rallenta gli altri nella corsia? Lui si rendeva perfettamente conto di essere particolare. Ma non “diverso”. Era felice di stare con noi. Di chiacchierare con noi. Oggi la signora ci ha dato buca, segnalava. Starà male? Oggi impegniamoci ragazzi, ammoniva. E un un giorno ci disse felice che si era fidanzato e si sarebbe sposato. E fu festa.
L’ho presa alla larga. E vado anche oltre, scavando nella memoria. Avevo nove anni e i miei mi fecero diventare Lupetto nella parrocchia. Cambiai città e non sono mai diventato scout. Ma ricordo quei tempi con piacere. Meno un giorno. Assistenza ai bambini affetti da menomazioni gravi, ospiti in un istituto. Ci ho messo tanti anni per superare lo choc. E forse non completamente. Mi venne da piangere. Non so come riuscii a trattenermi. Forse grazie alle guide. O al giovane sacerdote che ci accompagnava. Così, più o meno, giocai a briscola con un bambino, forse di 12 anni, affetto da macrocefalia. Tornai a casa e piansi a dirotto. Avevo capito la vita. E quanto ero fortunato a essere nato “normale”. Non un campione di nuoto, ne’ di qualunque altro sport. Mediocre in tutto, ma “normale”. E dunque “privilegiato”.
L’ho presa alla larga, dunque. Da giorni rifletto sul caso di Imane Khelif. Nata donna, assicurano, ma con un livello esagerato di testosterone, che la fa sembrare un uomo e forse, pur non essendo certo una campionessa di pugilato, fisicamente più forte di una donna, ma per il Cio – ente stranissimo, ambiguo – ha il diritto di combattere sul ring con le donne.
Nata nell’Atlante algerino, ho pensato a come i suoi genitori hanno accolto la nascita. Una tragedia. Un dolore profondo. Qualche secolo fa, ma non tanti secoli fa, Imane sarebbe stata affogata e sepolta di nascosto in un campo, di notte. Invece è vissuta, vendeva cous cous e si allenava. Gli infanticidi, va sempre ricordato, erano diffusi anche qui da noi. E non mille anni fa.
Dunque Imane deve combattere con le donne? La verità è che Imane è un amaro scherzo del destino, come si diceva una volta. Come tanti, purtroppo. Si nasce con deficit fisici e mentali. Da sempre. Non ci piace, ci atterrisce ma è così. Ermafroditi, asessuati, eunuchi, minorati mentali e fisici ci sono sempre stati. Si nasce senza una mano, senza un piede, con tre gambe. Con un pene piccolissimo e perfino a tortiglione. Si può nascere siamesi, che non sempre si curano. Si può condividere un cuore, o la testa. Si può nascere microcefali o macrocefali. Accade.
Come vivevano questi umani così estranei alla normalità? E come venivano accolti? Ancora oggi, nei piccoli centri, riescono a vivere tutelati dalle famiglie e dalla comunità. Nelle grandi città e’ più difficile. Spesso sono accolti in istituti – penso al Serafico di Assisi -, accuditi e amati. Altrettanto spesso vengono nascosti dalle stesse famiglie, per proteggerli dal dileggio.
Donne barbute e uomini-elefante, nani e giganti, gemelle siamesi e via dicendo hanno fatto in America la fortuna del Circo Barnum. E alcuni “anomali” hanno vissuto la gloria del palcoscenico. Uno spettacolo che ha fatto il suo tempo, come si disse quando il Barnum fu definitivamente archiviato, nel 2017, dopo 146 anni. Ma da sempre sono esistiti gli eunuchi, pochi alla nascita, nella maggioranza castrati. Servivano nei ginecei, negli harem, ma furono anche funzionari pubblici e capi di Stato. Per non dire delle voci bianche nei cori vaticani, ragazzini castrati prima della pubertà. La pratica – avviata nel Cinquecento – fu proibita solo nel 1878. Pratiche oggi condannate dai più, guardate con ribrezzo, ma tollerate senza problemi per millenni. Come si tollerava la schiavitù, e se ne faceva mercato.
Resta il problema degli “anomali” di qualsiasi tipo, non per scelta ma per destino, o costrizione. Il Cio, che ammetta Imane, è lo stesso che ha fatto finta di non sapere che la DDR, la Germania dell’Est, vinceva medaglie a raffica trasformando donne in semi-uomini a forza dì ormoni. E quelle vittorie non sono mai state espunte dal medagliere storico mondiale. E qualche dubbio è ancora legittimo per certe prestazioni di atleti di alcuni paesi, nonostante i controlli. Doping, testosterone? La dichiarata trasparenza spesso è solo nebbia.
Non voglio fare del moralismo. Per certi versi la vicenda umana delle pugilessa algerina mi fa tenerezza. E sono contento per lei, passata dal banchetto di cous cous al palcoscenico olimpico. Ma al contempo comprendo la reazione di Angela Carini, chiamata a un confronto improprio. Le regole generali dello sport agonistico prevedono un confronto tra simili. Non per caso nel pugilato, e non solo, esistono le categorie. E gli juniores, i seniores. Non è legittimo un combattimento tra un peso massimo e un peso piuma. I concorrenti devono essere potenzialmente paragonabili. Poi vince la tecnica. Vince chi si allena di più e meglio. Vince chi è più bravo.
Nel caso di Imane questa regola di base non è stata rispettata. Si creino, se lo si ritiene, categorie ad hoc. Anche per i transgender. Altrimenti è una truffa. Come truffe era quelle delle lanciatrici di peso o di giavellotto delle tedesche dell’Est imbottite di ormoni. Le quali, purtroppo, hanno poi avuto vite amare. Per non dire di certe ginnaste dell’Est che non crescevano mai.
Non voglio parlar male di Imane. Ha avuto una opportunità. L’ha utilizzata. Buon per lei. Ma il problema rimane: la mancanza di parità potenziale nel confronto, soprattutto in certe discipline. Senza parità non è sport, si torna al circo. Dove gli spettatori si diverto a vedere un nano battersi con un gigante. Ma è gioco, farsa, non spirito olimpico. E mi torna in mente il mio simpatico ragazzo Down. Dovremmo farlo cimentare nei centro metri stile libero con un ragazzo più fortunato di lui? Alle Olimpiadi? E il mio bambino macrocefalo del tempo che fu dovremmo ammetterlo a un torneo di scacchi? Sarebbe cattiveria, mancanza di rispetto. Io ricordo quel giorno. Ricordo quel sorriso strambo che mi fece capire tutto. Da credente, sono sicuro che sia in Paradiso.
Il Cio è agnostico. Per sua natura. Non deve truffare per sentirsi falsamente “buono”. Deve scrivere regole chiare e farle rispettare. Da tutti. La lama della spada, non può essere più lunga di 88 centimetri. Non puoi pretendere di combattere con una lama di un metro. E’ una regola. Vale anche nelle Paralimpiadi. Il deficit di base deve essere simile, paragonabile. Simili e omologati i supporti tecnici. Sennò è truffa. Come truffa, verso le donne, erano le voci bianche dei castrati. Voci da soprano, ma più potenti, grazie a un torace più ampio. E non ho scelto un esempio a caso.