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Fede e politica. I sogni muoiono all’alba

Gennaio 23, 20250

Nel 1960 Indro Montanelli scrisse una pièce teatrale per il milanese Teatro delle Novità. Titolo I sogni muoiono all’alba. Sottotitolo Commedia in 2 tempi. In realtà più che una commedia era un dramma. Ambientato a Budapest, alla vigilia del 4 novembre 1956, quando l’Armata Rossa occupò l’Ungheria per schiacciare la rivoluzione libertaria contro il regime comunista. Riduzione teatrale anche per Qui non riposano, il romanzo pubblicato prima in Svizzera e poi a Milano nel 1945. Il giornalista toscano amava il teatro. E amava portare sul palcoscenico anche i suoi reportage. Nel 1960 va in Israele e ne nascerà Kibbutz, dramma in tre atti. Poi tanti altri. Nel 1961 I sogni muoiono all’alba diventerà un film, per la regia di Mario Craveri, Enrico Gras e dello stesso Indro. Straordinaria l’interpretazione di Lea Massari, senza dimenticare almeno Aroldo Tieri e Renzo Montagnani. Nato invece come soggetto Il generale Della Rovere, il film girato nel 1959 da Roberto Rossellini con protagonista Vittorio De Sica, fece il percorso al contrario, e diventò romanzo.

Accantoniamo Montanelli e l’Ungheria. Quel suo titolo mi è tornato in mente dopo aver letto il comunicato finale del Consiglio episcopale permanente. I vescovi italiani – vi si legge – “si sono soffermati sull’urgenza di una rinnovata presenza dei cristiani nella vita politica del Paese e dell’Europa – come detto nell’introduzione dal cardinale presidente Matteo Zuppi -, mostrando apprezzamento per i tentativi di gruppi e singoli che, specialmente a partire dalla Settimana Sociale di Trieste, hanno ripreso vigore. Si tratta di un segno che, a fronte della rarefazione della partecipazione alla vita politica e sociale, va colto, incoraggiato e accompagnato, nella consapevolezza che il Vangelo non è avulso dalla realtà, ma ha a che fare con la concretezza della vita. Per questo, secondo i Vescovi, è fondamentale creare e rivitalizzare i luoghi di formazione socio-politica, aiutando a promuovere il dialogo senza cedere alle polarizzazioni e alle contrapposizioni sterili“. Il testo è chiaro. Ma, forse per prevenire interessati fraintendimenti, il segretario generale della CEI, l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, ha ribadito a stretto giro che i vescovi non hanno “un progetto politico-partitico” e riconoscono la “legittima pluralità” delle scelte politiche dei cattolici. “Per noi – assicura Baturi – il tema politico è quello di una visione, che non mi sembra possa coincidere con una formazione politica, ma si declina facendo dialogare i cattolici appartenenti ai diversi schieramenti». Insomma si dialoghi, si discuta, ma non si speri nel sostegno dei presuli a un solo schieramento, vecchio o nuovo che sia.
A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”, amava dire Giulio Andreotti, grande cavallo di razza democristiano. Può darsi che io abbia pensato male. Ma sono abbastanza certo che il possibile fraintendimento sia circolato negli ambienti degli ex democristiani di sinistra a suo tempo confluiti nel Pd, e da qualche tempo imbarazzati dalla linea politico-culturale di Elly Schlein, al di là delle negative prestazioni elettorali. Grande spazio sulla stampa, da settimane, ottiene il movimentismo di Delrio, di Prodi, di Castagnetti, di Gentiloni, dell’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, figlio del ministro democristiano Attilio Ruffini e nipote del cardinale arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini. In realtà l’avvocato ha smentito di voler “salire” in politica. Ma incontri, convegni, dialoghi si sono susseguiti. E sembrerebbero dover condurre a un maggiore impegno all’interno del Pd o, in prospettiva, alla creazione dell’ennesima formazione politica post democristiana, ala sinistra. Non ci sarebbe niente di male, in termini generali. Di male c’è, dal mio personale punto di vista, che quell’ambiente ama definirsi dei “cattolici democratici”. É una autodefinizione palesemente equivoca. Perché lascia intendere – semplificando – che loro sono cattolici “buoni”, mentre gli altri sono antidemocratici e dunque “cattivi”. In quanto tali loro meritano il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche, che giustamente ritengono che sia utile, persino necessario, che i cristiani si impegnino in politica e in generale nella società.

Dicevo del fatto personale. Se io sono un cattolico, culturalmente conservatore, che apprezza la dottrina sociale della Chiesa dalla Rerum Novarum in poi, sono utile in politica? Sarei anche disponibile, purché non sia obbligatorio rifare una copia in sedicesimo della sinistra Dc. Purché sia consentito contestare la pretesa di quel piccolo mondo di autodefinirsi cattolico democratico”. Possono farlo, certo. Ma a me pare – da sempre – un abuso. Sono cattolico e democratico. Proprio nel senso che amo il sistema democratico e aborro ogni forma di autocrazia, per non dire di dittatura. Posso però non apprezzare la linea politica di quella che fu la sinistra democristiana? E posso anche pensare che sia un errore la prospettiva – se fondata – di creare un nuovo/antico partito “confessionale” settario, senza per questo essere dipinto come non democratico?

Se la fondazione del Partito Popolare nel 1919 era necessario per archiviare il non expedit, che non fu una bella idea dei Papi anti-risorgimentali, nostalgici del potere temporale, oggi che senso avrebbe un movimento politico, o un partitino, “dei cattolici”? Veramente si ritiene che senza la Dc i cattolici praticanti si sentano orfani? Veramente si pensa che i cattolici praticanti non militino oggi in politica, trasversalmente presenti in quasi tutti i partiti? Veramente si crede che ai tempi della Dc tutti i cattolici praticanti fossero suoi fedeli elettori? E siamo proprio certi che la Dc si sia comportata secondo Vangelo?

Francamente sono perplesso. Ritengo che un cattolico, nella vita quotidiana e anche, eventualmente, in quella sociale e politica, debba essere fedele al Vangelo, che “non è avulso dalla realtà”, non ad altro. Tornando al tema, alla posizione dei vescovi. Io stimo molto il presidente della CEI cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna. Gli riconosco grande cultura e capacità. Lo conobbi semplice sacerdote tanti anni fa, quando – con la Comunità di Sant’Egidio – seppe gestire la pace tra le fazioni contrapposte nella guerra civile in Mozambico. Fu molto cortese e disponibile e mi aiutò dandomi le dritte giuste per Maputo. E le dritte servono ai giornalisti. Mi avrebbe sorpreso se – come taluno tenta di lasciar intendere avesse valutato positivamente il “movimento” forse in fieri, senza riconoscere contestualmente la legittimità dell’impegno politico dei cattolici ovunque si collochino.

Certamente chiunque è libero di fondare un partito. Lo facciano. Poi – in democrazia – decidono gli elettori. Mi dispiace, tuttavia, che tale movimento o partito si definisca “cattolico”. Come se i cattolici dovessero votarlo in quanto tale. Io, cattolico, non lo voterei. La fede è una cosa. La politica è ben altra cosa. Sia il Partito Popolare di Sturzo sia la Dc sono stati importanti – complessivamente in positivo – nella nostra storia. Ma la storia è appunto storia. E sono refrattario ai nostalgismi. Quanto ai vescovi, critichino qualunque governo, qualunque partito. Sulle scelte politiche, sociali, etiche, economiche. Talvolta concorderò, talaltra no. Io provo – faticosamente, come credo tutti i cattolici – a seguire il Vangelo. Non mi faranno sentire un paria perché contrario ai partiti “confessionali”, veri o presunti. Mi sembra che i vescovi siano stati precisi e diretti. La visione politica dei cattolici – dice il cardinale Baturi – “non mi sembra possa coincidere con una formazione politica”. Forse è bene che i nostalgici imbarazzati ne tengano conto. I sogni muoiono sempre all’alba.

 

Pubblicato anche su “The Social Post” il 24 gennaio 2025

https://www.thesocialpost.it/2025/01/24/fede-e-politica-i-sogni-muoiono-allalba/

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