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Pace a Gorizia, odio a Basovizza

Febbraio 8, 20250

Adesso non c’è più. Ma il Muro di Gorizia è durato più del Muro di Berlino. Pochi lo ricordano. Ma quello che divise Gorizia italiana da Nova Gorica allora jugoslava fu costruito nel 1947 e abbattuto solo nel 2004. Quello di Berlino nasce nel 1961 e muore nel 1991. Il muro di Gorizia fu forse considerato meno simbolico. Forse perché John Fitzgerald Kennedy il 26 giugno del 1963 nella metropoli tedesco-occidentale urlò Ich bin ein Berliner”, ma non passò per Gorizia.

Oggi è una giornata importante per il “confine orientale”. Gorizia italiana e Nova Gorica slovena celebrano l’inizio del loro anno congiunto come Capitale europea della cultura. Nel pomeriggio, in piazza Transalpina, la cerimonia, presenti i capi di Stato Sergio Mattarella e Nataša Pirc Musar.

<Una Capitale europea che afferma – ha sottolineato Mattarella nel suo messaggio la cultura oltre i confini, che ne riconosce l’universalità. Una Capitale che esprimerà – anche grazie a questa forza simbolica – i valori più profondi dell’Europa, quella autentica. La cultura del dialogo, del confronto, del futuro comune. Nova Gorica e Gorizia simbolo della nuova Europa: la libertà, dove prima un muro chiudeva e impediva. L’amicizia, dove prima vigeva una forzata separazione. Nova Gorica e Gorizia sono un segno di speranza in un continente ferito dal ritorno tragico della guerra e sfidato da impetuosi mutamenti>.

<La Slovenia – questo il messaggio di Musarè profondamente orgogliosa del nostro poeta France Prešeren e della sua Zdravljica, che nel 2020 ha ottenuto il riconoscimento come Patrimonio europeo. La nazione slovena ha scelto la settima strofa di questa poesia come inno nazionale, celebrando il messaggio di speranza e fratellanza che essa racchiude: “Vivano tutti i popoli che anelano al giorno in cui la discordia verrà sradicata dal mondo ed in cui ogni nostro connazionale sarà libero, ed in cui il vicino non un diavolo ma sarà un amico!” Credo fermamente che molti di noi vorrebbero che la Capitale europea della cultura passasse alla storia come la e realizzazione di questa ambizione a lungo coltivata. Il Presidente Sergio Mattarella e io ci impegneremo affinché anche i nostri prossimi passi siano indirizzati verso un futuro europeo, promuovendo la cooperazione e il riavvicinamento tra i nostri popoli, i nostri Paesi e tutte le persone che vivono e lavorano insieme in questo territorio, con l’obiettivo di creare le condizioni per una convivenza pacifica>.

Segnali di pace, di fratellanza. A due giorni dal 10 febbraio, quando in Italia si celebra il Giorno del ricordo, istituito per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

Mentre a Gorizia e a Nova Gorica si preparavano gli eventi, a cinquanta chilometri di distanza, sul Carso, la foiba di Basovizza veniva imbrattata con scritte in sloveno: “Trst je nas” (Trieste è nostra) e “Trieste è un pozzo”. Scritte ignobili, opera di pochi esagitati. Ma significative di quanto sia difficile superare un passato doloroso e complesso. Il tragico lascito della seconda guerra mondiale. A Gorizia/Nova Gorica si parla di fratellanza. Sull’altipiano che domina Trieste si parla di odio. Quella Trieste che tanto ha sofferto prima di tornare italiana nel 1954, accogliendo nelle baracche su Carso gli italiani istriani e dalmati che dovettero lasciare tutto e ricostruire una vita altrove.

È interessante la testimonianza offerta del fiumano Diego Zandel, nato nel 1948 in un campo di profughi a Fermo, nelle Marche, con Autodafé di un esule. Nel ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata (Rubbettino 2025). Il processo – questo lo spunto narrativo – al capo della polizia politica jugoslava a Fiume nel 1945, Oskar Piškulić, imputato di omicidio continuato e aggravato, avviato nel 1997, si concluse sette anni dopo, nel 2004. Diego venne a saperlo per caso quando un amico, giudice allo stesso processo, gli mandò per conoscenza la sentenza allo scopo di avere una sua opinione a riguardo. Diego scoprì così  di non aver mai sentito parlare di quel processo, peraltro caratterizzato da clamorose reazioni mediatiche, politiche e diplomatiche. Perché? In Autodafé indaga sulle cause della propria ignoranza. E si chiede se fosse perché scriveva su «l’Unità» e «Paese Sera», giornali di una sinistra che giustificava le foibe e imputava gli esuli di essere fascisti fuggiti dal paradiso socialista di Tito. Gli sorge, così, il sospetto di aver ceduto a una sorta di anestesia che, opportunisticamente, lo abbia inibito dall’aprire una pagina che lo avrebbe reso malaccetto nell’ambiente. Con Autodafé colma un buco della memoria che oggi ha per lui l’amaro sapore del tradimento e della complicità. E la sua storia è solo una delle tante.

Furono anni bui, durati troppo tempo e ancora emergono con la violazione di Basovizza. Come se il tempo non dovesse mai passare.

Il confine orientale a Gorizia cambia volto. Ma quei tempi restano nella memoria. Trieste ne fa parte. La triestina Susanna Tamaro ha ricordato in Ogni angelo è tremendo (Bompiani 2013) le sue sensazioni da bambina: Trieste è protagonista e vittima di quella storia. Su di essa pesano <i fumi della Storia. Il fumo dell’odio razziale, dell’odio etnico. Il fumo delle navi dei profughi che arrivavano dall’Istria e dalla Dalmazia. Il fumo dei milioni di vite sacrificate per riportare la nostra città all’Italia durante la prima guerra mondiale. […] Il fumo del comunismo che, da lì a Vladivostok, stava appollaiato alle nostre spalle. Il fumo della delusione, perché già cominciava ad apparire chiaro che il ritorno alla Madre Patria in fondo era stato una gran fregatura>. Il passato che non passa. Con tutto il suo dolore.

 

Pubblicato anche su “The Social Post” “8 febbraio 2025:

https://www.thesocialpost.it/2025/02/08/pace-a-gorizia-odio-a-basovizza/

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