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Il partito conservatore che non c’è

Febbraio 6, 20220

È possibile che la riflessione si approfondisca, nei prossimi mesi, in vista delle imminenti elezioni politiche. Imminenti perché manca appena un anno, nel quale può accadere di tutto, non solo sul piano interno. Ma certamente i partiti politici dovranno a breve immaginare e proporre agli elettori una strategia, una prospettiva. A sinistra la questione è chiara. Il Pd dovrà trovare il modo di rendere credibile – nei contenuti – l’attuale alleanza tattica con i 5Stelle. Se non con tutti, almeno con una parte di essi, la più larga possibile. A destra – da tempo area maggioritaria nei sondaggi – si pone il problema della forma che potrà assumerà l’alleanza tra le tre maggiori forze in campo: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il resto seguirà. <L’intendance suit>, ricordava de Gaulle. Non è spregiativo, perché senza le salmerie al seguito non si si vincono guerre.

In politica – vale a destra come a sinistra – le salmerie sono i gruppi minori, che possono tuttavia determinare il risultato. Si parla molto della possibile nascita di un nuovo “centro”. Nonostante tutto non sembra che vi siano le condizioni. Gli elettori sono ormai abituati al confronto tra due schieramenti, persino sgangherati, magari cambiando direzione di volta in volta. Il “terzo polo” grillino, emerso prepotentemente nel 2018, più che al centro, a destra o a sinistra, si è collocato in un altrove, ma non ha retto, avendo raccolto all’origine le istanze più disparate, difficili da tradurre in governo. In fondo l’emergenza pandemica, ponendo in secondo piano le prospettive di programma, li ha almeno parzialmente salvati dall’impatto con la realtà.

Un quarto polo centrista è il sogno di un ritorno a un passato remoto, cioè alla centralità democristiana, garantita dalla guerra fredda e dall’impossibile alternanza con il Pci filosovietico. Dimenticando l’auspicio degasperiano alla governabilità insito nella cosiddetta “legge truffa”, vorrebbe che una nuova legge elettorale proporzionale garantisse spazi di manovra parlamentari, facendosi strapagare dalla destra o dalla sinistra – in termini politici, s’intende – la sua utilità marginale. Dalla sinistra perché offrirebbe un’alternativa all’abbraccio con il grillismo. Dalla destra, perché offrirebbe – a suo dire – solide garanzie di moderatismo a un elettorato stanco di eccessi. Una narrazione poco convincente se si sommano moderati veri a un esagitato capo popolo come Renzi.

Poi c’è l’ala destra dello schieramento. Molto ampia, forse realmente maggioritaria, ma anche molto incerta sia per tattica sia per contenuti. A cominciare dalla autodefinizione. Destra? Centrodestra? O centro-destra? Con quel trattino o non trattino che ha angosciato gli anni del centrosinistra, o centro-sinistra, organico e al tempo disorganico. Prospettare a quest’area un partito unico è stato il sogno berlusconiano, con fusioni persino notarili. Un sogno arenatosi. Il Pdl non corrispose alle aspettative, non solo per la litigiosità dei contraenti. Ora si parla della necessità di costituire un partito a immagine e somiglianza del Repubblicano americano. Cioè una aggregazione di diversi, sulla base di un minimo comune denominatore. Dovrebbe essere una aggregazione larga, ma al tempo capace di offrire agli elettori pochi ma chiari obiettivi. Dovrebbe essere, anche, se non soprattutto, un partito con un forte tasso di democrazia interna, con una leadershipcontendibile. Tutto il contrario di una somma di leadershipbloccate, con ruoli predeterminati.

Vedremo come si svilupperà il dibattito. Che dovrebbe essere trasparente su alcune essenziali basi programmatiche. Qualche esempio? Economia sociale di mercato o liberismo puro? Sostegno all’impresa o assistenzialismo perpetuo? Patriottismo nazionale integrato nell’europeismo o sovranismo anti europeista? Autonomie regionali come strumento al servizio dell’unità nazionale risorgimentale o come tappa occulta di un percorso centrifugo? Fedeltà all’atlantismo oppure ingenua terzietà? Sono solo un piccolo assaggio dei quesiti che dovrebbero trovare risposte chiare, le uniche alle quali l’elettorato possa appassionarsi. Nei prossimi mesi i protagonisti dell’alleanza frantumatasi sul Quirinale saranno in grado di fornirle? Riuscirci, e così dar vita a un grande soggetto politico conservatore – perché solo così potrebbe e dovrebbe chiamarsi, e comunque così sarebbe percepito – sarebbe un grande passo per superare una troppo lunga fase di maggioranze aritmetiche a guida tecnica, che non sempre significa “dei migliori”.

Una quota di pessimismo a oggi è tuttavia fisiologica. Nel mondo largo, mutevole e cangiante, degli italiani che non si percepisco “di sinistra” sembrano convivere anche tendenze inconciliabili. Vedremo…

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