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Ucraina, la guerra, gli esperti, la competenza…

Aprile 12, 20220
Si cerca di capire. Com’è normale. Cercando di andare al di là della tragedia umanitaria. E dunque si legge, un po’ di tutto. La pandemia ha fatto emergere i virologi. Ora è il tempo degli esperti di relazioni internazionali, di geopolitica, di strategia militare. Ci sta. Anche che si pronuncino ex diplomatici. Almeno loro dovrebbero saper spiegare. Magari si farebbe volentieri a meno delle opinioni del grande latinista e grecista Luciano Canfora che, tutto concentrato sull’antichità, non si è accorto che l’Unione Sovietica non c’è più.
Tra i più gettonati esperti c’è Marco Carnelos, sempre qualificato come ex ambasciatore italiano in Iraq, ex inviato speciale per la Siria e il processo di pace israelo-palestinese, e oggi presidente di MC Geopolicy, una società di studi e consulenza, immagino.
In queste settimane ha espresso ripetutamente pareri controversi, ed è stato sospettato di essere filoputiniano e antiamericano. È vero o è solo un pregiudizio?
Trovo una sua replica in forma di lettera pubblicata da “Dagospia”, con la consueta formula “riceviamo e pubblichiamo”. La leggo, per curiosità.
L’ex ambasciatore si avventura in un excursus storico – onestamente corretto – che parte dalla Grande Guerra, quando gli Stati Uniti diventarono protagonisti della storia mentre crollavano gli imperi russo, tedesco e austroungarico. Poi sarà la volta di quelli britannico e francese. Fin qui, nulla da eccepire. Neppure sulla considerazione che <Con la Seconda guerra mondiale, l’Europa ha completato la sua auto-emarginazione come attore globale. L’esito del conflitto ha infatti sancito l’egemonia globale degli Stati Uniti, il bipolarismo con l’Unione Sovietica>. Ci piaccia o non ci piaccia così è stato. Certo furono <suicidi> gli europei. Per l’Europa è un altro discorso. Si tratterebbe di ragionare su quanto quegli imperi rappresentassero correttamente l’Europa, oppure solo alcuni Stati dominanti in Europa. Ma sorvoliamo.
L’ex ambasciatore introduce un tema più attuale e teme che <I futuri annali della storia ricorderanno probabilmente il 24 febbraio 2022, come un ulteriore spartiacque storico, ma, soprattutto, come l’anno del terzo suicidio compiuto dall’Europa dopo il notevole terreno che aveva recuperato con la creazione dell’Unione Europea>. Nutre anche <il profondo timore che l’UE si stia dirigendo sonnambula verso un abisso. Nelle ultime settimane i suoi leader sono stati solo in grado di ripetere meccanicamente uno slogan certamente veritiero ma al fondo banale, ovvero “c’è un aggressore e un aggredito” e di adottare, in una sorta di effetto valanga, sanzioni in larga parte dettate dagli Stati Uniti e, colmo dell’ironia dopo la Brexit, dalla Gran Bretagna!>
E anche su questo è difficile obiettare. Che l’Unione Europea non sia – purtroppo, aggiungo io – un soggetto politico è vero. Ma non è che di questo si possa però dare la colpa agli Stati Uniti. E arriviamo alla guerra in Ucraina. L’ex ambasciatore sostiene che <Nonostante le brutali forzature russe come l’annessione della Crimea e l’autoproclamazione secessionista delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk, sarebbe una semplificazione, a dir poco, riassumere gli sviluppi degli ultimi otto anni nel dossier ucraino come semplice prepotenza di Mosca>. Ecco, non semplifichiamo: <Gli eventi accaduti a Kiev nell’inverno 2013/14 sono molto più complessi ed articolati rispetto alla narrativa prevalente che ha sempre enfatizzato l’eroica resistenza ucraina alle pressioni russe. Lo stesso dicasi per la guerra a bassa intensità nel Donbass. L’auspicio è che una seria ricerca storica un giorno faccia luce su questa pagina importante della storia europea, soprattutto alla luce delle drammatiche conseguenze che ha innescato. Ma a quel punto non importerà più nulla a nessuno. Il minimo che mi sento di poter dire, quindi, assumendomene la responsabilità, è che sulle cause profonde che hanno scatenato questa tragedia nessuno, tra i protagonisti politici, è innocente>.
Tutto giusto, quanto banale. Perché l’aggressore resta aggressore e l’aggredito resta aggredito. Ma qui parte la filippica contro l’Occidente: <Non ci dovrebbe essere alcun dubbio che l’Ucraina, come – teoricamente – qualsiasi altro Stato sovrano, abbia il diritto di decidere la propria politica estera, comprese le sue alleanze internazionali. È possibile interrogarsi se anche la Russia, come Stato sovrano, possa avere il diritto di vedere riconosciute le sue preoccupazioni di sicurezza? Naturalmente, le democrazie occidentali possono legittimamente sostenere che le preoccupazioni russe siano un mero pretesto o che non possano essere promosse attraverso il ricorso alla guerra. Si tratta di una posizione ineccepibile. Tuttavia, perlomeno negli ultimi tre decenni, le democrazie occidentali hanno accettato, e spesso sostenuto materialmente, gli Stati Uniti che hanno scatenato guerre lunghe e sanguinose a migliaia di chilometri di distanza dai propri confini rivendicando minacce alla propria sicurezza nazionale. Se una tale posizione è stata accolta e sostenuta con tanta disinvoltura è davvero così assurdo e inaccettabile che anche la Russia possa rivendicare un simile diritto? Soprattutto se, nel suo caso, sta agendo appena oltre i suoi confini? E secondo quale logica avanzare un simile dubbio espone automaticamente alla calunnia di essere un “fantoccio di Putin”?>
No, direi. Non è e non dovrebbe essere necessario. Tuttavia l’argomentazione – pur fondata – ha una pecca. L’Europa non ha saputo diventare Europa, cioè una potenza protagonista nello scenario mondiale. Si è accontentata di rinascere dopo il ’45 e di prosperare protetta dall’ombrello militare americano durante la guerra fredda. L’implosione sovietica e la conseguente fine del Patto di Varsavia hanno cambiato lo scenario senza che i leader europei si preoccupassero del futuro. Così e‘ andata. Ma, chiarite colpe e superficialità del passato, dopo l’aggressione putiniana all’Ucraina, quale poteva essere la reazione? Farsene una ragione? Far finta di niente? Capire e giustificare la Russia? Chiedere cortesemente agli ucraini di accogliere i russi con mazzi di fiori e di arrendersi quanto prima? Che la crisi in atto rischi di stravolgere gli equilibri mondiali è certo. Nulla sarà più come prima e il futuro è tutto da immaginare. A guerra finita, in un modo o nell’altro, è evidente che i leader occidentali – europei, americani, asiatici – dovranno inventarsi una strategia. Dire, come di fatto dice l’ex ambasciatore, che in fondo era meglio Trump, che dell’Europa non voleva preoccuparsi, di un Biden interventista, e che quindi l’Europa ha sbagliato a non approfittarne, non è che prospetti soluzioni. Dubito che Trump non se ne sarebbe accorto, ma resta comunque la questione di oggi. Sarebbe meglio abbandonare l’Ucraina al suo destino? Consentendo a Putin di proseguire, sfogliando il carciofo europeo un passo per volta? Fino a trovarcelo in casa? E a quel punto chiedere il cortese aiuto americano?
Ecco, queste risposte mancano nell’analisi dell’ex ambasciatore. Una bella analisi fitta di non detti. Troppi.
Letta la lettera di Marco Carnelos, mi sono chiesto chi fosse costui. Per capire. E ho scoperto dal sito del Ministero degli Esteri che, nato nel 1965, entrato in diplomazia nel 1992, ha cessato <di far parte dell’Amministrazione in data 28 dicembre 2017>. Cioè ha lasciato la carriera a 52 anni. Stanco? Può darsi. Poi ho trovato un pezzo pubblicato dal “Corriere della Sera” il 28 febbraio del 2017, titolato <Iraq, scandalo al consolato italiano. “Visti venduti per 10 mila euro”>. Nove mesi dopo il nostro lascia l’Amministrazione. Poiché sono un garantista, penso che la coincidenza sia stata assolutamente casuale. Dunque non c’entra nulla. Resta l’ambiguità di fondo del suo dire, coperta dalla melassa della competenza.

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