Se un grande storico quotidiano come “La Stampa” non si è vergognato, questa mattina, di titolare a tutta pagina “Vergogna”, è difficile fare un ragionamento razionale sulla caduta di Draghi e sulla conseguente fine anticipata – di pochi mesi – della legislatura.
Ci provo, ponendomi una prima essenziale domanda, alla quale, per ora, non trovo risposta. Perché Draghi si è dimesso dopo aver ottenuto al Senato una larga maggioranza, nonostante i Cinquestelle rimasti con Conte si siano sfilati? Seconda domanda. Perché ha insistito sull’impossibilità di governare con una maggioranza larghissima, alla quale sarebbe mancato solo il simbolo di un partito, ormai rappresentato da un gruppo parlamentare marginale?
Se la situazione del Paese è così grave – e certamente non è allegra – perché non continuare? E perché non accettare il bis formale chiesto da Forza Italia e Lega?
Conte era rimasto solo. Stava perdendo pezzi. La crisi di governo l’ha aperta lui. Sia pure in modo ambiguo. Convinto, forse, che fosse meglio andare alle elezioni del 2023 dall’opposizione per salvare il salvabile.
Io non trovo risposte politicamente logiche. Politicamente logica è stata invece la scelta di Forza Italia e Lega di sfilarsi, per non lasciare – dal loro punto di vista – troppo spazio a Fratelli d’Italia. Cinismo? La politica è cinica, anche se Draghi ci assicura che persino i banchieri hanno un cuore.
Per cercare di capire ho riavvolto il nastro. Elezioni politiche 2018. Si usciva da una legislatura a guida Pd, con i governi Letta, Renzi e Gentiloni. Non furono grandi governi. Renzi riuscì a suicidarsi. Alle elezioni il Pd prende il 18 e rotti per cento. Esplode Grillo con il 32,68. Il disagio popolare ha punito la sinistra di governo e premiato i grillini e, in parte, la Lega. Perché i Cinquestelle raggiungano quel consenso bisogna chiederlo al Pd, ricordandogli la sua incapacità di governare per cinque anni.
Sappiamo come va. Mattarella non vuole riandare al voto, nonostante non esista una maggioranza politicamente coesa. Il Pd ci prova. Ma nasce il Conte gialloverde. Per un anno e mezzo il Pd non tocca palla. La Lega si stanca dei grillini e Salvini esce. Sbaglia i calcoli. Non si vota. E nasce il Conte giallorosso. Il Pd ritorna in campo. E ci resta, anche con Draghi, dal febbraio 2021. In quasi dieci anni partecipa a 5 governi su 6. Praticamente governa sempre, salvo una breve parentesi. Teniamo a mente.
Nel frattempo scade il settennato Mattarella. Gennaio 2022. Mattarella fa capire che non ambisce a una conferma. Ma un candidato almeno “gradito” al centrodestra – se non altro per alternanza – non si trova o non lo si vuol trovare. Draghi potrebbe essere il candidato ideale. Ha aggiustato il disastro di Conte. Non lo ringrazierò mai abbastanza – semplifico – per aver rimosso Arcuri e insediato il generale Figliuolo all’emergenza pandemica. Draghi al Quirinale avrebbe potuto supervisionare un governo di larghe intese d’emergenza. Ma il Pd non lo vuole. E Mattarella viene rieletto a furor di popolo.
A mio modestissimo avviso Draghi non la prende bene. Aveva “salvato la Patria”, o almeno ci stava provando. E, con un governo semitecnico, si poteva arrivare a fine legislatura.
Sempre a mio modestissimo avviso, Conte ha consentito a Draghi di cogliere l’occasione per sfilarsi e mettere il Pd in enormi difficoltà, visto che il “campo largo” si è sfarinato. Non solo. Stava provando a cambiare la legge elettorale in senso proporzionale per evitare di dover abbracciare un Conte in caduta libera. Per fregarlo, insomma.
Ora il Pd sembra un orfano di Draghi. Applaude, si straccia le vesti, per far ricadere su FI e Lega, oltre che su Conte, la responsabilità delle elezioni anticipate. Ma la storia a parer mio è un po’ diversa. D’altra parte, sotto traccia, la campagna elettorale era cominciata subito dopo la rielezione di Mattarella. L’aria era quella. L’ho percepita immediatamente. E non solo io. Il resto è venuto a cascata.
È un disastro? Una vergogna? Suvvia. Raccontatelo agli ingenui. Che una legislatura come questa sia durata più di quattro anni è stato un miracolo. Ma anche una disgrazia. Giustificarla a posteriori con la pandemia e la guerra è una fesseria. Né pandemia né guerra c’erano in quel 2018, quando l’insipienza del Pd produsse il trionfo di un partito non partito, portatore di proposte bambinesche, e dico poco.
In democrazia si vota. Non ne facciamo uno scandalo. Come andrà vedremo. Già si sta alzando il polverone antipopulista, antisovranista. Tra qualche giorno rispunterà l’antifascismo. È scontato. Allarme! Allarme! A sinistra hanno già dimenticato di aver governato con populisti veri o presunti e con sovranisti altrettanto veri o presunti. E persino con amici di Putin, veri o presunti.
Io spero che, chiunque vinca, saprà dimostrarsi all’altezza, con una solida cultura di governo, ancorata alla liberaldemocrazia e alla tradizionale collocazione europea e occidentale dell’Italia. Senza equivoci. Presto capiremo.
Già in serata Giorgia Meloni ha chiarito al Tg2 che <la collocazione occidentale dell’Italia nessuno la vuole metter in discussione e sicuramente non la mette in discussione Fdi che nei fatti ha dimostrato chiaramente quale sia la sua metà del campo>.