C’è poco da fare. In campagna elettorale l’ansia di raccogliere consensi porta a strafare e produce dibattiti surreali. Tra i tanti, quello sul ripristino del servizio militare di leva è forse il più interessante. Perché il tema non è stupido in sé. E non è di destra o di sinistra. Non lo è al punto che viene sollevato da Salvini, da destra, mentre la leva fu sospesa, non abolita, da destra, dal governo Berlusconi nel 2005, su iniziativa del ministro della Difesa Antonio Martino. Può sembrare un paradosso ma, appunto, la questione non è di destra o di sinistra.
Un passo indietro. La leva obbligatoria maschile risale al 1861, quando nacque il Regno d’Italia, prima ancora che l’unità nazionale fosse completata. Ciascuno degli Stati preunitari aveva regole diverse. Per fare un esempio, nel Regno delle due Sicilia, il servizio militare era teoricamente obbligatorio, ma poteva essere riscattato pagando. Alla nuova Italia servivano Forze Armate efficienti per competere con le altre potenze. La coscrizione non fu accolta con favore, soprattuto nell’ex regno borbonico. Comunque non fu mai amata. Ma ebbe come positiva conseguenza, soprattutto durante la Grande Guerra, di integrare popolazioni che neppure si capivano. I dialetti erano la lingua comune. L’italiano era la lingua delle classi colte, neppure di quelle abbienti.
La coscrizione obbligatoria ha dunque avuto un ruolo fondamentale nell’unificazione sociale della Nazione. Si può dire che senza di essa l’Unità sarebbe stata più difficile di come è stata. In questo senso la coscrizione obbligatoria ha contribuito a fare l’Italia.
Che sia stata amata è falso. È sempre stata vissuta con insofferenza, come una imposizione irragionevole. Non si può negare che togliere i figli maschi alle famiglie in un’Italia prevalentemente contadina sottraeva forza lavoro. E i coscritti non ne capivano la necessità. È stata vissuta come una inutile perdita di tempo, come una tassa ingiusta. Dopo la seconda guerra mondiale questa insofferenza si è col tempo ampliata. Nonostante la guerra fredda, era percepita in generale come un danno. “Servire la Patria” in armi fu per di più associato negativamente al ventennio fascista e alla “premilitare”, un classico delle dittature novecentesche, Unione Sovietica compresa.
Cominciò a moltiplicarsi l’obiezione di coscienza, sia in versione cattolica sia in versione laica, regolata poi nel 1972. Nello stesso periodo le formazioni di estrema sinistra extraparlamentari tentarono di sfruttare politicamente la situazione creando il Movimento dei Soldati e dei “proletari in divisa”, anche contestando nei reparti la disciplina militare.
Ma le Forze Armate formate da coscritti erano solo una esigenza tecnico-strategica, adottata da sistemi politici diversi, ad Ovest come ad Est. L’Italia stava tuttavia cambiando tumultuosamente. Può sembrare strano, ma molti soldati di leva ancora negli anni Settanta erano semi-analfabeti, nonostante l’obbligo scolare fino alla terza media. Nelle caserme si tenevano i corsi per consentire di ottenere il diploma. Contestualmente le donne stavano entrando sempre più numerose nelle Università e nel mondo del lavoro. I ragazzi percepirono sempre di più il servizio di leva, pur ridotto a 12 mesi, come penalizzante.
Era parzialmente vero, a essere onesti. La naja, come veniva chiamata spregiativamente, consentiva ai ceti svantaggiati di acquisire un bagaglio di conoscenze, di rapporti, anche umani, che gli era negato. Insomma, la naja era odiata. Ma aveva anche risvolti positivi. Persino quelli di imparare a “stare al mondo”, oltre che, spesso, un mestiere.
Di trasformare la leva da obbligatoria a volontaria si è parlato a lungo. Questione di costi, naturalmente. Il militare professionista deve essere retribuito sul serio, non con la “mancia” della “decade”. Ma non solo. Nella lunga stagione dell’instabilità politica e del terrorismo si temette che i professionisti avrebbero potuto esercitare un ruolo politico “di parte” o essere utilizzati da una parte. D’altra parte era sempre più evidente che, fatti salvi pochi reparti di eccellenza, la preparazione dei coscritti si faceva sempre più esile e che il loro utilizzo in caso di conflitto sarebbe stato un azzardo. Meglio Forze Armate con meno arruolati efficienti che con molti arruolati inefficienti. Il nodo fu sciolto solo nel 2005.
Avrebbe un senso tornare indietro? Dal punto di vista tecnico-militare no. Si tratterebbe di riattivare un sistema dismesso, di riaprire caserme abbandonate, con costi probabilmente superiori a quelli del professionismo e con esiti dubbi. Un sistema misto con, per esempio, soli sei mesi di istruzione per uomini e donne da affiancare ai professionisti, non darebbe alcun affidamento operativo. In un mondo di droni, il fantaccino che ha appena appreso come marciare a e sparare con un fucile antidiluviano non serve, impiccia. E questo taglia la testa al toro.
Tuttavia, l’esigenza di offrire ai giovani, uomini e donne, una opportunità di educazione civica che è andata sfarinandosi, è reale, e non può essere liquidata con una battuta. Il solito sondaggio ci informa che la maggioranza degli italiani sarebbe favorevole anche al servizio militare. Ma questa maggioranza è formata da anziani, non da giovani. Chi ha fatto la naja sa che non fu solo noia e nonnismo. I giovani, ai quali toccherebbe oggi, non possono che essere largamente contrari, come quelli di allora. Magari per motivi parzialmente diversi, ma contrari.
Non fu il mio caso, lo dico chiaro. Scelsi di fare il servizio di leva senza rinvii, dopo il liceo. Feci il concorso per allievo ufficiale e lo vinsi. Fu una grande opportunità per uscire dal tran tran di una famiglia borghese e di cavarmela da solo. Ho faticato. Ho imparato. Mi sono persino divertito. Dopo quindici mesi me ne andai contento, ad affrontare la vita. Non mi sono mai pentito di quella scelta. Ma questo non mi convince a sostenere il ripristino della leva obbligatoria. Non funzionerebbe. Neppure come scuola di buona educazione. Non più.
Certo, sappiamo che il numero dei giovani che non studiano e non lavorano è molto elevato, troppo. Ma forse, anzi senza forse, è nelle scuole, nelle università, nelle famiglie, nel tessuto produttivo che si deve guardare, non nelle caserme. Avrebbe senso qualche mese di servizio civile obbligatorio e retribuito per questi giovani. Vasto programma, però. Difficile da realizzare.