Stamane portavo a spasso il cane. Si chiama Gin. È un akita albino e non sa nulla di storia. Ha molti pregi, ma è proprio ignorante. Dunque non sa che il pratone dove fa i suoi bisogni circonda una palestra. Da poco è stata restaurata dopo anni di abbandono.
Per decenni è stata utilizzata per giocare a pallavolo e a pallacanestro. Gin non sa neppure che quella palestra era stata costruita per la GIL, Gioventù Italiana del Littorio, e non fu abbattuta dopo il 1945. Gin non sa neppure che a destra della palestra (o a sinistra, dipende da dove si guarda) c’è un edificio razionalista. In parte è abitazione, in parte asilo. Quell’edificio era nato come ambulatorio dell’ONMI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Non fu abbattuto. Nessuno ci ha mai pensato, in un comune retto da sempre da amministrazioni a guida PCI, ora genericamente “di sinistra”.
Nello stesso paese c’è un grande edificio scolastico. Anch’esso razionalista. La sua costruzione fu cominciata nel maggio del 1938, poco prima che gli israeliti di quel paese fossero privati dei diritti civili. Anche quelli che avevano partecipato alla Marcia su Roma. Terminato a tempo di record, quell’edificio fu intitolato a Costanzo Ciano e, il 21 marzo 1940, fu inaugurato dal ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. In 82 anni nessuno ha mai pensato di abbatterlo. Eppure, se lo si guarda dal monte che sovrasta il paese, è evidente che fu disegnato a forma di M.
Come la palestra ex GIL e l’edificio ex ONMI, anche la scuola è parte di quel vastissimo patrimonio architettonico che ha contribuito a far sì che L’ombra lunga del fascismo continuasse – e continua – a invadere e disturbare il dibattito pubblico e – come scrivono Sergio Rizzo e Alessandro Campi – <ad avvelenare la politica e i rapporti sociali di uno dei più grandi Paesi liberi dell’Occidente, fondatore dell’Unione Europea>. Alimentando, aggiungono, <rigurgiti che si fanno sempre più inquietanti e che oggi alimentano le pulsioni sovraniste e populiste>. Sull’avvelenamento concordo, sul fatto che da quell’ombra derivino pulsioni populiste molto meno. Il populismo è un confuso arcobaleno, che attraversa continenti e ideologie.
Il tema, tuttavia, esiste. E bene fanno Sergio Rizzo e Alessandro Campi a chiedersi, fin dal sottotitolo del volume fresco di stampa per Solferino, Perché l’Italia è ancora ferma a Mussolini, a un secolo da quella marcia su Roma che traghettò definitivamente il romagnolo dall’originario massimalismo socialista alla guida di un regime dittatoriale, liberticida, fallimentare, razzista. Un regime che, per certi versi, ancora ci opprime. Lo fa, suggeriscono correttamente gli autori, perché non siamo riusciti a consegnarlo alla storia. Per cui ne rimangono le tracce impalpabili, sotto forma di luoghi comuni, oltre a quelle fisiche. Le quali contribuiscono – in un circolo vizioso – a sostenere le prime, alimentando la retorica del Mussolini che “ha fatto anche cose buone”. Il che vale però, ma raramente si rammenta, per le dittature di qualsiasi colore. Per la banale ragione che in una dittatura è più facile costruire, e per un dittatore è psicologicamente essenziale lasciare traccia di sé. Case, scuole, caserme, palestre, targhe, effigi. Che emergono e riemergono, in Italia come nella Romania di Ceaușescu e della consorte Elena, per fare un solo esempio.
Lasciti complessi, sempre. Quelli immateriali dipendono da un lato dalla larga continuità della pubblica amministrazione – ma c’era stata anche nel passaggio dall’Italia liberale all’Italia fascista –, dall’altro dal fatto che <in pochi anni il fascismo ha riplasmato la società italiana […] creando una <struttura socio-economica e quella politica-amministrativa, che la Repubblica ha in gran parte ereditato, anche come mentalità>. Per questo, dovrebbe essere arrivato, tardivamente e finalmente, il momento di voltare definitivamente pagina e di consegnare quei vent’anni alla storia, e di smetterla di farne un uso politico. <Senza riuscire a chiudere una volta per tutte la partita con quel passato – avvertono Rizzo e Campi – l’Italia non sarà mai una democrazia stabile, solida e funzionante>. Avvertenza opportuna.
Poi, restano le pietre. Il pensiero, le ideologie, i fatti e i misfatti, possono e debbono essere storicizzati, avendone la volontà e il coraggio. Per le pietre è più complesso. Perché sono testimonianza paradossalmente viva. Alla portata di tutti. <Cancellare o conservare?>, o <conservare spiegando?>, si chiedono gli autori. E si rispondono. Ne parlano diffusamente e anche per questo consiglio di leggere il libro. Magari ricordandosi che il quartiere romano dell’EUR, non terminato nel 1942, fu finito nell’Italia democristiana.
Ne approfitto per dire la mia sulla cancel culture che ormai attraversa i continenti e ogni tanto si affaccia anche da noi. Faccio un esempio. Come si sa, a seguito della guerra italo-turca, dal 1912 il Dodecanneso fu italiano. Prima era sotto l’impero ottomano, ma i greci non furono comunque contenti. Il fascismo non c’entra. C’entra l’Italia liberale, e solo dopo il fascismo. Le tracce di quell’epoca resistono. Negli edifici pubblici, nelle piazze, ovunque. Mandraki è il capoluogo dell’isola di Nisyros. È piccola, rotonda, bellissima. Un paradiso. Bene. La sede del comune porta ancora la scritta bilingue Municipio/Δημαρχείο. Io penso che mantenerla sia un segno di civiltà. E i greci non sono esattamente estranei alla civiltà.
Un secondo esempio. In Garfagnana, nel paesino di Vagli di Sotto, esiste un “Parco dell’onore e del disonore”. Una curiosa idea turistica dell’allora sindaco Mario Puglia. Ci sono statue di Putin, di Trump, di Schettino e altre. Qualcuno – dopo l’aggressione russa all’Ucraina – ha suggerito di abbattere quella di Putin. Io sono contrario, nel modo più assoluto. Anche la peggiore delle statue rappresenta un’epoca, nel bene e nel male, persino nel ridicolo. Ed è utile che il bene e il male non si cancellino. È stata un’idea bislacca costruire quella statua? Si, ma anche le idee bislacche vanno conservate, quanto meno come ammonimento. A meno che non si voglia diventare come i talebani, che hanno abbattuto le statue del Buddha. Eviterei.
Capisco che, quando cade un regime, nella foga del momento si abbattano i suoi simboli. È accaduto. È normale, umano, giusto. Poi, bisogna smetterla. Quelle pietre fanno parte della storia. Come, per fare un esempio, il trionfo mussoliniano dipinto da Duilio Cambellotti a Ragusa, coperto e poi riscoperto da Leonardo Sciascia (Invenzione di una prefettura).
È sempre un bene non cancellare la storia. Mettiamoci piuttosto una bella targa esplicativa, sotto quella statua, sotto i monumenti, le effigi, i quadri, le palestre, gli stadi. Perché i posteri sappiano e possano comprendere. Io sono anche contrario a cambiare i nomi delle strade. Basterebbe cambiare le definizioni. Per dire, se uno “scienziato” ha sostenuto le leggi razziali, lo si scriva sotto il nome. A futura memoria. Per eterno ludibrio.
Ps, per fatto personale.
Ragionando sull’ombra lunga gli autori s’interrogano su quanto incida ancora il nome di Mussolini nei titoli dei libri, compreso il loro, credo. Si sa, funziona. Non tanto il fascismo ma proprio Mussolini. L’elenco dei titoli sarebbe stato infinito. Dunque li ringrazio per aver scelto di citarne, tra milioni, uno mio.
“Lo storico e giornalista Gianni Scipione Rossi nei primi anni duemila – ricordano (p. 386) – ha scovato negli archivi di famiglia il diario di Serafino Mazzolini, sottosegretario agli Esteri della Rsi. Molto interessante dal punto di vista storico-documentario, ma quanti, anche tra gli interessati alla storia del fascismo repubblichino, conoscono Mazzolini? L’inedito esce nel 2005 con il titolo Mussolini e il diplomatico: minimo di vendite garantito grazie al nome del duce in copertina”.
In effetti, quel nome, ha aiutato la diffusione del libro e la riscoperta di un personaggio dimenticato. Non è bello, ma è così. Per questo rivendico la scelta strumentale del Mussolini in copertina. Grazie a quel nome, a distanza di più di tre lustri, ancora si scopre qualcosa di quel nazionalfascista umbro-marchigiano.
Il 30 novembre 2021 ricevo questa mail:
Buongiorno,
mi chiamo [ … ] le sto scrivendo perché facendo delle ricerche ho visto che lei ha scritto un libro su Mazzolini . La mia mamma ha una storia curiosa e mi piacerebbe se lei potesse aggiungere notizie a quello che noi figli sappiamo.
A prova di ciò vi era un attestato con una poesia scritta da Mazzolini dal titolo “deppiu che vuoi?” e poi successive cartoline inviate dall’Africa….non abbiamo più nulla purtroppo, però mia sorella maggiore ricorda bene tutta la storia ed anche la poesia.
Nella speranza che lei possa darci delle informazioni in più la ringrazio dell’attenzione.
Cordialmente […]
5 comments
Emanuele CALÒ
Settembre 13, 2022 at 7:03 pm
Scrivi divinamente. Emanuele
Gianni Scipione Rossi
Settembre 13, 2022 at 7:27 pm
Grazie! Nei limiti😀
Emanuele CALÒ
Settembre 13, 2022 at 7:03 pm
Scrivi divinamente.
Fabio Maria Santucci
Settembre 14, 2022 at 8:47 am
Ottimo.
Gianni Scipione Rossi
Settembre 14, 2022 at 9:13 am
👍