È bravo Aldo Cazzullo. Bravo giornalista e bravo saggista. Fin dai tempi del Testamento di un anticomunista, che scrisse con Edgardo Sogno, partigiano. Perché i partigiani, anche se si tende a dimenticarlo, non furono solo comunisti. Bravo collega, dunque, fin da giovane. Ma con un vizio, la tuttologia. Politica, storia, costume, spettacolo, cronaca, reali, praticamente si occupa di tutto lo scibile umano. Anche questa capacità è un pregio, ma si corrono dei rischi.
Dunque, stamane, sul “Corriere”, se ne esce con un articolato commento sul futuro di Giorgia Meloni. Un pezzo cerchiobottista come pochi, nello stile – salvo rare eccezioni – di quello che fu il grande quotidiano della borghesia lombarda, ora edito da Cairo e diretto da Luciano Fontana, ex caporedattore dell’“Unità”. Niente di male, solo cronaca. Siamo tutti ex di qualcosa…
<Ora Giorgia Meloni è davanti a un bivio>, avverte Cazzullo. Un bivio <tra l’istinto e la ragione. Tra sovranisti ed europeisti. Tra protezionisti e liberali. Da una parte, la strada che conduce alle sue alleanze tradizionali: Viktor Orban (che si scriverebbe Orbán, per dire..) Budapest, Jarosław Kaczyński a Varsavia, Marine Le Pen a Parigi, Santiago Abascal a Madrid. Dall’altra, la strada che conduce a chi governa davvero l’Europa: Ursula von der Leyen a Bruxelles, Christine Lagarde a Francoforte, Olaf Scholz a Berlino, Emmanuel Macron a Parigi (a Madrid governa invece il socialista Pedro Sanchez; che se dovesse perdere le elezioni l’anno prossimo cederebbe il posto non ad Abascal, ma al leader del partito popolare Alberto Núñez Feijóo).
Ora, a parte le capacità divinatorie di Cazzullo sulla Spagna, e a parte che la Meloni ha ribadito che <ci divide molto da Orbán>, non più tardi di qualche giorno fa, in chiusura della campagna elettorale, in realtà, nel Parlamento Europeo, il partito orbaniano Fidesz, non è membro dei Conservatori e Riformisti guidati dalla Meloni ma, dopo l’espulsione dal PPE, i suoi rappresentanti sono tra i “non iscritti”. Errore da matita rossa.
Non è un errore, ma una valutazione politica, indicare Ursula, Cristine, Olaf ed Emmanuel come coloro che governano <davvero> l’Europa. C’è del vero. Ma forse è proprio tentare di scardinare questo meccanismo il vero problema dell’Italia. Dovrebbe essere un obiettivo condiviso contare di più, senza sentirsi vassalli dell’asse franco-tedesco e delle due tecnocrati. Almeno provarci…
<Da quale strada sceglierà Giorgia Meloni – ammonisce Cazzullo – dipendono la nostra (precaria) salute economica e il nostro futuro nell’Europa turbata dalla guerra che infuria sulle sue frontiere orientali>. Certo, ma dovrebbe essere una strada diversa, non illegittima, piuttosto auspicabile.
Ancora Cazzullo, che riconosce: <I sovranisti non sono un monolito. Il governo ungherese è il miglior amico di Putin; quello polacco è il miglior amico di Zelensky. Orban straparla di difesa della “razza bianca”; Abascal teorizza l’iberosfera, invita i venezuelani a venire in Spagna, candida i cubani anticastristi. Quanto a Marine Le Pen, tecnicamente in Europa fa parte del gruppo di Salvini e non di quello della Meloni. Tuttavia, non prendiamoci in giro: le radici e il cuore della prima donna presidente del Consiglio sono da quella parte>.
Ma Cazzullo ne è proprio sicuro? Nelle recenti presidenziali francesi Meloni non si è schierata con la Le Pen. Non si è proprio schierata, come dovrebbero fare tutti i leader su questioni interne di altri paesi. E il Rassemblement Nazional, anch’esso, non fa parte, nell’Europarlamento, dei Conservatori e Riformisti, bensì del gruppo Identità e Democrazia, insieme alla Lega. Poi, si possono fare tutti i ragionamenti del caso, ma non si può attribuire a Meloni un profilo che non la rappresenta. Le radici? Il cuore? Ma di che cosa stiamo parlando? Sempre della stessa cosa, cioè del rigettare sulla Meloni un passato che non dovrebbe mai passare. Come se la campagna elettorale impostata dal PD sulla delegittimazione non fosse ancora finita.
Ancora il fascismo? Direi anche basta. Capisco che se uno decide di cavalcare il centenario della marcia su Roma scrivendo Mussolini il capobanda. Perché dovremmo vergognarci del fascismo, poi è tentato di tenere in piedi la questione, come suggerisce il marketing. Ma sarebbe ora di cambiare argomenti. Tuttavia il “Corriere” proprio non ce la fa.
Così un altro bravo collega, Paolo Conti, nell’edizione locale, si lancia nella spiegazione della “Roma di Giorgia leader”. Nata a Roma Nord, ma in realtà vissuta alla Garbatella. Quartiere popolare. Dove la cadenza romana non è quella pariolina, per intenderci, ecc. ecc. E poi, in fondo, si tratta di un quartiere – bellissimo, in verità, va visitato – con radici fasciste, secondo Conti. Quartiere <straordinario esempio – scrive – di edilizia economico-popolare, la Garbatella, voluta dal fascismo nei terreni sopra la basilica di San Paolo fuori le mura…>. Dunque, era un destino, quello di Meloni. Peccato che la Garbatella abbia origine monarchico-liberali, non fasciste. Poi il fascismo ci ha messo del suo, come la DC nell’Eur lasciato incompiuto. La prima pietra fu posata da Vittorio Emanuele III, in piazza Benedetto Brin, il 18 febbraio 1920. Sindaco di Roma, dopo Prospero Colonna, era Adolfo Apolloni, senatore, ingegnere e scultore. Mancavano quasi due anni alla marcia su Roma e Mussolini neppure aveva idea della Garbatella. Ma, per immaginare “radici”, tutto fa brodo…