Scandalo! Pierluigi Bersani ha scoperto all’improvviso di essere stato ministro dello Sviluppo Economico nel biennio 2006-2008, nel secondo governo Prodi. Se l’è ricordato perché qualcuno ha visto la sua foto esposta nella sede del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico), in via Veneto. Una foto tra tante, alcune decine. Quelle di tutti ministri che in novant’anni si sono seduti alla scrivania di Palazzo Piacentini. Tra questi, anche se forse non avrà usato spesso la relativa poltrona, anche il cav. Benito Mussolini. Capita che il duce, tra il 1932 e il 1936, abbia assunto anche l’interim di questo ministero. A giro, di interim, ne ha assunti cinque o sei. Ma questo era particolarmente significativo, visto che il corporativismo, la “rivoluzione” ideologica del fascismo, stava prendendo forma. Non funzionò, in realtà, come tante altre cose.
Il ministero poi cambiò nome, ovviamente, e anche più volte. Ma la foto di Bersani ha campeggiato tra predecessori e successori. Come accade in tutti o quasi i ministeri, così come al Senato e alla Camera per i Presidenti. Credo anche al Quirinale. Ma Bersani, una volta scoperto l’arcano, a diciotto anni di distanza, non l’ha presa bene. «Mi giunge notizia – ha twittato offesissimo – che al Mise sarebbero state esposte le fotografie di tutti i ministri, Mussolini compreso. In caso di conferma, chiedo cortesemente di essere esentato e che la mia foto sia rimossa». Al Mise hanno subito provveduto, non a togliere la sua foto, ma ovviamente quella del predecessore sgradito.
Capisco, ma francamente mi sembra un’idiozia. Non è che se togli la foto cancelli Mussolini dalla storia. Fosse così semplice… Forse bastava una didascalia: Benito Mussolini ministro delle Corporazioni e dittatore. Entrambe le definizioni sono veritiere. E raccontano un pezzo di storia d’Italia. Della quale fanno parte, nel bene e nel male, quel ministero, i suoi titolari pro tempore, e anche il palazzo che lo ospita. Palazzo Piacentini, appunto. Dal nome dell’architetto razionalista che tanto ha costruito in tutta Italia, in quel periodo e anche dopo. Con Giuseppe Vaccaro ha costruito anche quello. Cantiere aperto nel 1929. Chiuso nel 1932. Inaugurato il 30 novembre. Forse chi non c’è mai entrato non può rendersi conto di quanto sia un’opera d’arte piena di opere d’arte.
<Nel palazzo – ricorda il sito ufficiale – sono conservate numerose opere di artisti del Novecento italiano, come la vetrata policroma “Carta del Lavoro” di Mario Sironi, gli arazzi del salone d’onore (oggi salone degli arazzi) di Ferruccio Ferrazzi, i dipinti “Madonna dell’Aria” di Enrico Prampolini e “Sintesi Veneziana” di Fortunato Depero, le sculture bronzee del portone di Via Veneto di Giovanni Prini e quelle dell’atrio di Carlo Pini>. A me ha fatto impressione sopratutto il cosiddetto Parlamentino, ma insomma siamo all’arte pura, all’esaltazione dell’Italia geniale.
E proprio all’Italia geniale è stata intitolata una mostra creata per il Padiglione Italia dell’Expo 2020 di Dubai, che il ministero ha ospitato all’inizio del 2022. Una mostra nella mostra, si potrebbe dire. Infatti <L’ esposizione – spiega la nota illustrativa – ripercorre da vicino la storia dei brevetti e dei disegni industriali depositati presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi del Mise, testimone della creatività italiana, del progresso e dello sviluppo economico che il Paese ha compiuto nel settore dell’industria, influenzando società, consumi e costumi. Tra i 66 oggetti esposti, dalla moda all’arredo, dall’illuminazione al settore automobilistico e aeronautico fino alle tecnologie emergenti, anche le vere icone mondiali del design e della ricerca: Isetta, prima city car degli anni ’50 ideata dal genio italiano, la macchina da scrivere Valentine dell’Olivetti, la bottiglietta del Campari Soda, la macchina da cucire Mirella della Necchi, la poltrona Frau Vanity Fair, il bollitore Conico Alessi, il televisore portatile Algol della Brionvega, la Vespa elettrica Piaggio e infine la Moka Bialetti>. Già, la Moka. Ideata negli anni Trenta. Magari l’usava pure Mussolini. Dunque potrebbe essere considerata contaminata. Vogliamo proibirla?
Vogliamo cancellare proprio tutto dalla nostra storia? Vogliamo negare che un genio italiano esista e sia esistito, largamente a prescindere dalla mutevoli forme di governo? Vogliamo vergognarci di Sironi? E di Piacentini? E di Vaccaro? Cioè di quello per cui il mondo ci ammira? Di ciò che di italiano è esposto al MOMA?
Io non voglio vergognarmi. Vorrei che capissimo, finalmente, tutti, che il fascismo è morto e sepolto. È stato sconfitto. Punto. E che l’ingegno resta italiano, anche se si è espresso ai tempi del Papa Re, di Crispi, di Giolitti, di Mussolini, di De Gasperi, di Andreotti, di Craxi. Non è che la Moka vestisse la camicia nera. Neppure la Coccoina (1927). E la Vespa (1946) non era democristiana.
L’arte rappresenta lo spirito del tempo? Lo spirito, sì, non il governo. L’architettura razionalista non fu solo italiana. Chi lo pensa non fa parte dell’Italia geniale, ma dell’Italia mediocre. Che pure esiste, è esistita, esisterà. Purtroppo.