Nel vocabolario Treccani, che non è di parte, alla lettera C si trova il sostantivo femminile tragicamente tornato d’attualità. Ecco la voce: <casamìcciola s. f. – Rovina, disordine, gran confusione: è successa una c.; far c.; anche di casa molto in disordine: è una c., una vera casamicciola. La parola è un uso antonomastico del nome (Casamìcciola, e dal 1956 Casamìcciola Terme) di un centro dell’isola d’Ischia, molto frequentato come stazione di cura per la sua ricchezza di acque termali, che nel 1883 fu interamente distrutto da un violentissimo terremoto>. Più sintetico il vocabolario Hoepli: <Disordine, grande confusione, rovina: nell’ufficio è una vera c.>
In effetti, negli uffici, comunali, provinciali, ministeriali ecc. c’è grande disordine, mentre la rovina è solo a Casamìcciola paese, nell’isola di Ischia, dove è stato recuperato il cadavere dell’ottava vittima (e ne mancano ancora) della disastrosa frana alluvionale dal monte Epomeo.
Non è passato molto tempo dal 15 settembre scorso, quando un’altra alluvione ha disastrato le Marche. Poco più di due mesi. Fenomeni diversi, si dirà. Non troppo, però. Grosso modo le cause sono simili: pioggia, mancata cura del territorio, un po’ di abusivismo, scarsa manutenzione degli alvei dei torrenti. Quante volte abbiamo sentito questa litania? Ora piangiamo le vittime, certo. E le polemiche sono fuori luogo. Francamente sono stucchevoli. Perché non risolvono niente. Sono un flatus vocis, tanto per apparire sui giornali. Poi?
Le responsabilità sono storiche. Quanti governi e amministrazioni locali sono enumerabili dal quel 1883 monarchico? Il conto si può fare. Quel 28 luglio del 1883 presidente del consiglio era Agostino Depretis, della Sinistra Storica. Quel giorno ci fu un terremoto. Altri seguirono. E altre frane. E altre alluvioni. E altri morti. Furono create le “griglie” di scolo. Ricordate i Regi Lagni borbonici e l’alluvione di Sarno? Era il 1998. Pioggia, frana, morti. Esondazione dai canali non curati.
Perché il problema è tutto qui, si chiama manutenzione. Tertium non datur. O si decide che nei territori a rischio terremoto e frane non si può vivere, e dunque si abbandona Casamìcciola, oppure si destina a quel territorio naturalmente a rischio una manutenzione rigorosa, senza sconti per nessuno, neppure per il più marginale abuso edilizio. A quello e a qualunque altro, s’intende.
Ma noi siamo caratterialmente un popolo di approssimatori fatalisti. A cominciare dai casamicciolesi, che sanno ma si affidano al fato. Come tanti, in tanti centri abitati. In fondo è la loro terra, da secoli. Volontariamente è difficile abbandonarla. Li dovresti costringere. Oppure gestirla, fin dalle minuzie. Ecco, possiamo sperare che il governo appena insediato non si comporti come quelli di Depretis e dei suoi successori. Non solo a Ischia. Piangiamo i morti. Spaliamo il fango. Salviamo le terme. Ma, per cortesia, non ricostruiamo le case nello stesso posto. E, finalmente, prendiamo atto che l’Italia è fatta così. Investiamoci sul serio, con un piano di prospettiva, non inseguendo le emergenze quotidiane. Per quelle ci sono la protezione civile, l’esercito e quant’altro. Si tratta di immaginare un progetto epocale. E di far rispettare le regole. Costa, ma si può fare, se non si consente a qualunque passante di obiettare sulle virgole. E il beneficio sarebbe enorme, per tutti.
Ma noi italiani siam fatti così. Ci piace la polemica del giorno, molto meno la programmazione. E siamo anche campioni del “l’avevo detto, io”. L’ex sindaco che aveva mandato le PEC – magari era meglio qualche telefonata – l’aveva detto, lui. Renzi che polemizza con Conte perché glielo aveva detto che non doveva varare il condono per Ischia, nel 2018. Ma mica fece le barricate.
“L’avevo detto, io” è stato il ritornello esploso persino sulla pietosa vicenda del neo deputato Aboubakar Soumahoro, candidato solo perché funzionava nei talk. Nero, ex migrante, parlantina sciolta. Che vuoi di più? Pietosa vicenda, anche umanamente. Si finirà col non poteva non sapere quel che combinavano moglie e suocera con le cooperative di immigrati. Un mondo scivoloso, perché gli affari sono coperti da mantelli buonisti. E se ne parli male sei quello che non vuole accogliere i poveri del mondo. Mentre sai che, molto spesso, lasciano la povertà e finiscono sempre poveri, ma anche vittime di un peloso neo-schiavismo.
“L’avevo detto, io”, è facile, a posteriori. La prossima volta, magari, dillo urlando, che qualcuno ti senta, senza paura del politicamente scorretto.
Vale anche per le frane. Siccome sappiamo, diciamolo tutti. Senza paura. Lo dicano i sindaci, senza paura di perdere consensi. Lo dicano i cittadini, anche denunciando il vicino di casa. Ci vuole tolleranza zero. Altrimenti nemmeno il più perfetto dei piani potrà mai funzionare. E continueremo a piangere i morti. Tanto non costa niente a chi non ha visto morire un figlio, una madre…. Facciamo solo casamìcciola, disordine, gran confusione, rovina.