Non è morto il Papa. Lo dico così, semplicemente, tanto per ricordare una banalità. Non sono un teologo. Al massimo, un cattolico appassionato di storia delle religioni. Niente di più. Sono anche un cattolico normale, peccatore come tutti, papi compresi. Legato alla fede di bambino, al mese Mariano, al catechismo dei tempi della messa in latino. Sono anche dubbioso sulla necessità di “aggiornare” le liturgie. Per non dire delle preghiere. Ricordo a memoria il <Pater Noster qui es in caelis, Sanctificetur nomen tuum, fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra. Panem nostrum cotidianum da nobis hodie, et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris; et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo….> Possibile, mi chiedo, che il significato di quel non c’indurre in tentazione l’abbia capito solo io? Forse non ci sono più i preti di una volta.
L’unica “correzione” che abbia avuto un senso, è l’eliminazione di quel “Oremus et pro perfidis Judaeis” del Venerdì Santo. Ci pensò nel 1959 Giovanni XXIII. Tanto che io – ero troppo piccolo – neppure ricordo di averla mai sentita. Quella sì che era necessaria, perché non si poteva pretendere che i fedeli fossero tutti così colti da interpretare il latino. Coglievano solo il “perfido”, alimentando l’antigiudaismo cattolico. Che da qualche parte ancora esiste, purtroppo.
Non amo la retorica dell’inclusività. La Chiesa non ha mai escluso nessuno. È una questione di fede, non di marketing. Gli scismi sono stati prodotti dai teologi, non da semplici credenti. L’eccesso di teologia esclude, non il Pater Noster.
Detto questo, non sono neppure un “tradizionalista”. Va bene la messa in italiano, e anche in fiammingo, per dire. Della Messa Tridentina non mi cale. La tradizione è mobile, non statica. Per esempio, sono favorevole al matrimonio dei sacerdoti, che è una legge della Chiesa Latina, non un comandamento di Dio. Tant’è vero che i preti cattolici di rito greco possono sposarsi, anche in Italia. Il divieto non ha origini divine, bensì terrene. Banalizzo: si è temuto che i parroci si dedicassero più alla famiglia che alla comunità, anche indirizzando le donazioni. Oggi quei lasciti immensi sono diventati un debito per parrocchie, conventi e diocesi… Paradossi della storia.
Poi c’è il presente. Ora che i funerali di Joseph Aloisius Ratzinger, Benedetto VI, sono stati celebrati con il dovuto rispetto, posso dirlo che non è morto il Papa. Il Papa si chiama Francesco. Per Benedetto si è inventato il titolo di “emerito”, come fece Cossiga con il presidente emerito della Repubblica. Ma il Papa, per quanto sovrano di un piccolo Stato, non è un soggetto politico. È – così mi insegnarono – il Vicario di Cristo. E il vicario è uno solo. Dunque, non è morto il Papa. Che il Vaticano non abbia dichiarato i nove giorni di lutto canonici lo conferma. Solo tre, per rispetto. Non è morto il Papa. Le campane delle Chiese hanno suonato, e mi è sembrato eccessivo. Come lo scherzo del marchese del Grillo.
Intendiamoci. Penso che Benedetto XVI sia stato un ottimo Papa e soprattutto un grande teologo. Importante nel ribadire la centralità del cristianesimo nella cultura europea, e anche nel dialogo ebraico-cristiano. Ma le sue volontarie dimissioni mi lasciano ancora perplesso. Volontarie, mentre quelle precedenti, nella storia della Chiesa latina erano state determinate da ragioni politiche, in altri contesti. Abbiamo avuto di tutto. Papi e antipapi. Con le dimissioni, Benedetto XVI ci ha riportato indietro. Un giorno, forse, capiremo. Tra decenni. Io non farò in tempo.
Non sono un dietrologo. Già sono infastidito dalle voci sulle possibili dimissioni di Francesco. Non ci si può dimettere da Vicario di Cristo, eletto dai cardinali per intercessione dello Spirito Santo. Un teologo dovrebbe saperlo. La stanchezza non è una ragione. Il Cristo fatto uomo si è fatto uccidere per noi, e il suo Vicario si dimette? Non voglio giudicare. Ma sono perplesso. Poi, onestamente, ho pensato che si sarebbe ritirato in un convento, non che sarebbe rimasto a due passi dal Papa vero. In silenzio? Nei limiti. La presenza è parola. Può essere persino più forte della parola. Alimentando voci e di divisioni nella Chiesa di cui non si sentiva il bisogno. E ora ricircolano quelle di un possibile scisma… Mentre l’arcivescovo Georg Gänswein pubblica un libro per lamentarsi di essere stato “dimezzato” nel suo ruolo di prefetto della Casa Pontificia. E per “rivelare” che la stretta di Francesco sulla messa in latino avrebbe <spezzato il cuore> di Ratzinger non più Papa. Non sarebbe il caso di ritirarsi in preghiera invece di stendere memorie che nessuno gli ha chiesto? Se non per vendere copie. Come un principe Harry qualsiasi.
I funerali di Ratzinger non potevano che provocare colate di retorica. Imbarazzanti. Si son contati persino i presenti. Come se si trattasse di uno spettacolo teatrale. Sono tanti, sono tanti… Ma fossero stati pochi, che cosa sarebbe cambiato? Dal punto di vista religioso, dico. In piazza San Pietro c’era pure uno striscione che invocava SANTO SUBITO. E su questo si è discusso persino nei talk. Ma da quando conta il parere della folla? La folla che preferì Barabba a Gesù. Che per essere elevati agli altari, come beati e santi, ci vogliono riconosciuti miracoli, ce lo siamo dimenticati?
Infine, anche i Papi della modernità hanno svolto ruoli culturali e politici. Benedetto XV provò a fermare la Grande Guerra. L’elenco sarebbe lungo. Resta il fatto che di Papa, nella Chiesa cattolica, ce n’è uno. Che a me sia più o meno simpatico conto meno di zero. Non tocca a me scegliere il vescovo di Roma. Il quale è in carica. Il 31 dicembre 2022 non è morto il Papa.