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Tra Roma e Tel Aviv

Marzo 10, 20230

Mentre il premier israeliano Benyamin Netanyahu è in visita a Roma, Tel Aviv è stata funestata da un attacco terroristico. Un giovane palestinese, affiliato ad Hamas, ha sparato sulla folla, ferendo tre persone. Due sono gravi e mentre scrivo non so se sopravviveranno. L’attentatore è stato ucciso dagli agenti della sicurezza.

Difficile capire se non si è mai stati in Israele. Dove, in questi giorni, sono in corso proteste contro una riforma della giustizia proposta dal governo guidato da Netanyahu, tornato premier dopo la seste elezioni anticipate consecutive. Non entro nel merito di questioni politiche interne di Israele. Riguardano i suoi cittadini, non me. So bene che la questione posta è divisiva a Gerusalemme ed è discussa anche nelle comunità ebraiche della diaspora, e persino tra gli amici di Israele, quale io orgogliosamente sono.

Lo sono perché il 14 maggio del 1948 gli ebrei riuscirono a fondare lo Stato sovrano e indipendente al quale avevano diritto storico nella loro terra. Dopo la Catastrofe, sono stati capaci di farlo, e non era scontato. Peraltro il sionismo non era condiviso da tutta la diaspora.

Lo sono perché fondarono uno Stato democratico, che hanno saputo difendere con coraggio, pur circondati da un mondo ostile. Credo anche che i palestinesi abbiano diritto a un loro Stato indipendente e sovrano, ma non a spese altrui. Le vicende storiche mediorientali sono complesse, ma non si possono risolvere a mano armata e con il terrorismo.

Israele è la dimostrazione che si può vivere e prosperare secondo le regole della democrazia occidentale. Lo dimostra persino il dibattito politico in corso, particolarmente acceso. La democrazia è fatta così. È complicata, faticosa, ma di meglio non c’è. Israele è complesso. Anche politicamente. Ma, da chiunque sia governato, gli sono amico.

Dicevo che è difficile capire Israele se non ci si è stati. Prima di andarci, per me l’ammirazione per Israele era solo teoria, fin dalla guerra dei “sei giorni”, 1967. Fin dall’ignobile equiparazione tra sionismo e razzismo approvata dall’Onu. Era il 1975. Herbert Pagani – sì, il cantante  di Cin cin con gli occhiali – reagì, alla radio francese, con Arringa per la mia terra.

Poi, nell’agosto di trentatre anni fa, ci sono stato la prima volta. Per raggiungere Eilat da Gerusalemme presi un pullman di linea. Anche questo serve per capire. Ogni tanto c’era ovviamente una fermata. A un certo punto salì una soldatessa. Armata di tutto punto. Avrà avuto vent’anni. Aspettava lì, da sola, nel deserto. Capii.

Oggi mi auguro che, anche grazie alla visita di Netanyahu, l’amicizia e la collaborazione tra Italia e Israele sia sempre più stretta, al di là degli accordi economici.

 

Per chi non la ricordasse:

Arringa per la mia terra

di Herbert Pagani (1975)

Di passaggio a Fiumicino sento due turisti dire sfogliando un giornale: ‘Tra guerre e attentati non si parla che degli ebrei, che scocciatori …’ E’ vero siamo dei rompiscatole; sono secoli che rompiamo le balle all’universo. Che volete? Fa parte della nostra natura.

Ha cominciato Abramo col suo Dio unico, poi Mosè con le tavole della legge, poi Gesù con l’altra guancia sempre pronta per la seconda sberla, poi Freud, Marx, Einstein, tutti esseri imbarazzanti, rivoluzionari, nemici dell’ordine. Perché?

Perché l’ordine, quale che fosse il secolo, non poteva soddisfarli, visto che era un ordine dal quale erano regolarmente esclusi; rimettere in discussione, cambiare il mondo per cambiare destino, questo è stato il destino dei miei antenati; per questo sono sempre stati odiati da tutti i paladini dell’ordine prestabilito.

Un antisemita di destra rimprovera agli ebrei di aver fatto la rivoluzione bolscevica. E’ vero. C’erano molto ebrei, nel 1917.

Un antisemita di sinistra rimprovera agli ebrei di essere i proprietari di Manhattan, i gestori del capitalismo… è vero ci sono molti capitalisti ebrei.

La ragione è semplice: la cultura, la religione, l’idea rivoluzionaria da una parte, i portafogli e le banche dall’altra sono stati gli unici valori mobili, le sole patrie possibili per quelli che non avevano una patria. Ora che di patria ne esiste una, l’antisemitismo rinasce dalle sue ceneri, o meglio, scusate, dalle nostre, e si chiama antisionismo.

Prima si applicava agli individui, adesso viene applicato a una nazione. Israele è un ghetto, Gerusalemme è Varsavia. Chi ci assedia non sono più i tedeschi ma gli arabi e se la loro mezza luna si è talvolta mascherata da falce era per meglio fregare le sinistre del mondo intero. Io, ebreo di sinistra, me ne sbatto di una sinistra che vuole liberare tutti gli uomini a spese di una minoranza, perché io faccio parte di quella minoranza.

Se la sinistra ci tiene a contarmi fra i suoi non può eludere il mio problema. E il mio problema è che dopo le deportazioni in massa operate dai romani nel primo secolo d.C. noi siamo stati ovunque banditi, schiacciati, odiati, spogliati, inseguiti e convertiti a forza. Perché? Perché la nostra religione, cioè la nostra cultura erano pericolose.

Qualche esempio? Il giudaismo è stato il primo a creare il sabato, il giorno del Signore, giorno di riposo obbligatorio. Insomma il week-end. Immaginate la gioia dei faraoni, sempre in ritardo di una piramide. Il giudaismo proibisce la schiavitù. Immaginate la simpatia dei romani, i più grossi importatori di manodopera gratuita dell’antichità. Nella Bibbia c’è scritto: “La terra non appartiene all’uomo, ma a Dio”. Da questa frase scaturisce una legge: quella della estinzione automatica dei diritti di proprietà ogni 49 anni.

Vi immaginate la reazione dei papi del Medio Evo e degli imperatori del Rinascimento? Non bisognava che il popolo sapesse.

Si cominciò quindi col proibire la lettura della Bibbia, che venne svalutata come Vecchio Testamento. Poi ci fu la maldicenza: muri di calunnie che diventarono muri di pietra: i ghetti.

Poi ci fu l’Indice, l’Inquisizione e più tardi le stelle gialle. Ma Auschwitz non è che un e- sempio industriale di genocidio. Di genocidi artigianali ce ne sono stati a migliaia. Mi ci vorrebbero dieci giorni solo per far la lista di tutti i pogrom di Spagna, di Russia, di Polonia e del Nord Africa. A forza di fuggire, di spostarsi, l’ebreo è andato dappertutto. Si estrapola il significato ed eccoci giudicati gente di nessun posto. Noi siamo in mezzo agli altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio. Io non voglio più essere adottato, non voglio più che la mia vita dipenda dall’umore dei miei padroni di casa, non voglio più affittare una cittadinanza, ne ho abbastanza di bussare alle porte della storia e di aspettare che mi dicano: “Avanti”.

Stavolta entro e grido; mi sento a casa mia sulla terra e sulla terra ho la mia terra. Perché l’espressione “terra promessa” deve valere per tutti i popoli meno che per quello che l’ha inventata?

Che cos’è il sionismo? Si riduce a una sola frase, l’anno prossimo a Gerusalemme.

No, non è lo slogan di qualche club di vacanza, è scritto nella Bibbia, il libro più venduto e peggio letto del mondo. E questa preghiera è diventata un grido, un grido che ha più di 2000 anni, e i padri di Cristoforo Colombo, di Kafka, di Proust, di Chagall, di Marx, di Einstein, di Modigliani, e di Woody Allen l’hanno ripetuta, questa frase, almeno una volta l’anno: il giorno della Pasqua. Allora il sionismo è razzismo? Ma non fatemi ridere. Il sionismo è il nome di una lotta di liberazione e come ogni movimento democratico ha le sue destre e le sue sinistre. Nel mondo ciascuno ha i suoi ebrei.

I francesi hanno i corsi, i lavoratori algerini; gli italiani hanno i terroni e i terremotati; gli americani hanno i negri, i portoricani, gli uomini hanno le donne, la Società ha i ladri, gli omosessuali, gli handicappati. Noi siamo gli ebrei di tutti.

A quelli che mi chiedono: “E i palestinesi? ” rispondo ‘Io sono un palestinese di 2000 anni fa, sono l’oppresso più vecchio del mondo, sono pronto a discutere con loro ma non a cedergli la terra che ho lavorato. Tanto più che laggiù c’è posto per due popoli, e due nazioni”. Le frontiere le dobbiamo disegnare insieme.

Tutta la sinistra sionista cerca da 30 anni degli interlocutori palestinesi, ma l’OLP, incoraggiata dal capitale arabo e dalle sinistre europee, si è chiusa in un irredentismo che sta costando la vita a tutto un popolo, un popolo che mi è fratello, ma che vuole forgiare la sua indipendenza sulle mie ceneri.

C’è scritto sulla carta dell’OLP: “Verranno accettati nella Palestina Riunificata solo gli ebrei venuti prima del ’17”. A questo punto devo essere solidale con la mia gente. Quando gli arabi mi riconosceranno, mi batterò insieme a loro contro i nostri comuni oppressori. Ma per oggi la famosa frase di Cartesio: “Penso, quindi sono” non ha nessun valore.

Noi ebrei sono 5000 anni che pensiamo e ci negano ancora il diritto di esistere. Oggi, anche se mi fa orrore, sono costretto a dire: “mi difendo, quindi sono”.

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