Che i giornali quotidiani non riescano a superare una crisi di vendite che dura da anni è cosa ipernota. La responsabilità – si dice – è del flusso magmatico di notizie che girano sul web, peraltro con scarso ritorno economico. Un fenomeno incontrollabile, che prescinde dalla qualità dell’informazione. In parte è così. Ma solo in parte. Forse editori e giornalisti dei media tradizionali dovrebbero riflettere sulla qualità dell’informazione che offrono ai lettori. Qualche esempio? Dopo il primo turno delle elezioni amministrative, il 16 maggio, “Repubblica” ha titolato a tutta pagina “L’onda di destra si è fermata”. Un titolo legittimo, autoconsolatorio, tipico dei quotidiani di partito del tempo che fu. Andava bene per “l’Unità”, per il “Popolo”, il “Secolo”, ecc. Quei giornali avevano lettori “militanti”, che non volevano sentirsi dire di aver perso. Non del tutto, almeno. Perso, magari, ma poco. Insomma, quei giornali dovevano infondere coraggio e speranza, non deprimere.
Quei giornali non ci sono più, e neppure i “militanti” di una volta. Di quando l’appartenenza politica era una fede. Da decenni non è più così, giusto o sbagliato che sia. Siamo immersi nella politica fluida. Si sa che “Repubblica” si percepisce come giornale schierato, culturalmente e politicamente. Come altri di segno opposto, naturalmente. Ma “Repubblica” esagera. E stamane è costretta a titolare, a tutta pagina, “Il vento della destra”. Io sono un lettore professionale. La virata a 180 gradi non mi fa né caldo né freddo. Ma il lettore “militante” che cosa deve pensare del titolo del 16 maggio palesemente falso?
Peraltro, almeno finora, non ho trovato nei quotidiani un’analisi accurata dei risultati elettorali. Dati alla mano, è evidente che il centrodestra, trainato da Giorgia Meloni, continua a essere maggioritario. L’effetto Schlein non esiste. Conte non conta. Tuttavia non sottovaluterei, a sinistra come a destra, i successi che, qua e là, non possono essere attribuiti a candidati di partito. Accade in Sicilia, in Umbria, persino, in un certo senso, a Vicenza. Certo, le elezioni comunali rispondono a logiche diverse dalle elezioni politiche. Ma io qualche riflessione la farei, senza aspettare il solito sondaggista ingaggiato per spiegare i flussi.
Restiamo in tema elettorale, oltre i nostri confini. In Grecia il partito conservatore di Mitsotakis ha vinto, largamente. Ma in parlamento non ha ottenuto, per una manciata di seggi, la maggioranza assoluta. Contrario alle alleanze, ha riconvocato gli elettori. Si rivota il 25 giugno. La stampa italiano ha più o meno considerato questa scelta come un sintomo di deriva autoritaria.
Poi si vota in Spagna, per le amministrative. I socialisti del premier Sánchez hanno perso, largamente. Sánchez prova a sparigliare. Scioglie il parlamento e chiama i cittadini a votare per le politiche il 23 luglio. Per la stampa italiana è, più o meno, una decisione coraggiosa e opportuna. Quanto è bravo Sánchez, che così impedirà ai popolari di organizzarsi per vincere.
Un buono e un cattivo fanno la stessa cosa, mah…
Allora, mi chiedo, perché un cittadino normale, dovrebbe leggere i quotidiani e non accontentarsi del web? Già, perché? Una domanda alla quale non trovo risposta. Anche pensando alla Spagna. Perché il “Corriere” oggi chiede lumi non a un politologo, bensì a uno scrittore e poeta, Manuel Vilas, che ovviamente sta per pubblicare un nuovo romanzo in Italia. E che è un estimatore di Sánchez. E si dichiara quasi certo che a luglio vincerà. Perché è fortunato. Perché deve vincere. Perché, altrimenti, la Spagna precipiterebbe nel Medio Evo.
Se questo è il livello, mi richiedo, a che servono i giornali? E mi chiedo, anche, che cosa scriverebbero i commentatori italiani se le nostre elezioni politiche fossero convocate a fine giugno e a fine luglio, quando in Grecia e in Spagna, ma anche da noi, al di là dei cambiamenti climatici, fa da sempre un po’ caldo? Se e quando accadrà, leggerò con attenzione. Sarà divertente.