Chissà se, lassù, Piero Craveri si è stancato di essere definito sì come storico, ma anche come nipote di Benedetto Croce, figlio della scrittrice Elena e dello storico Raimondo Craveri, tra i fondatori del Partito d’Azione. Per carità, siamo tutti figli e nipoti di qualcuno e l’ambiente familiare certamente contribuisce alla formazione culturale di una persona, e incide anche sulle sue scelte di vita. Però non sì è solo figli o nipoti, bensì innanzitutto se stessi.
Ci ho fatto caso leggendo la recensione scritta di Piero Craveri al saggio di Simona Colarizi La resistenza lunga. Storia dell’antifascismo 1919-1945, pubblicata postuma, il 31 dicembre, dall’inserto culturale del “Sole 24 Ore”. Craveri l’aveva inviata alla redazione pochi giorni prima di morire, il 23 dicembre. Chissà quanti giorni prima… Comunque non ha avuto il tempo di vederla pubblicata. Peccato, perché non sarebbe stato definito “nipote di”, mentre la recensione confermava la sua – e solo sua – dimensione di grande intellettuale e grande storico, quale è stato.
Una recensione positiva, va detto, che Craveri ha chiuso con un condivisibile elogio per l’opera dell’autrice: «L’Italia non ha ancora, come altri paesi europei, una storia nazionale condivisa, il che è anche oggi un tema di divisione politica. Di un pericolo di ritorno al fascismo non ci sono tuttavia tracce nella storia della Repubblica. L’“antifascismo” è rimasto un richiamo al passato senza fondamento politico. Va a merito di Colarizi che questa sua storia chiuda proprio nel 1945, senza richiami che con essa non hanno nulla a che fare». Un giudizio lapidario, direi. Che condivido. E che, forse, se lo storico non fosse scomparso così, all’improvviso, avrebbe potuto essere spunto per una riflessione collettiva e un dibattito civile.
Più civile, magari, di quello che si sviluppò, come ricorda Colarizi, nei primi anni Novanta, «in seguito alla traumatica fine di tutti i partiti storici fondatori nel 1945 dell’Italia repubblicana». Sarebbe stato auspicabile perché – sottolinea giustamente – quel «confronto storiografico non era bastato però a invertire la tendenza all’uso politico dell’antifascismo da parte dei partiti che occupavano la scena politica negli anni Duemila. Come nel vecchio, anche nel nuovo sistema politico dichiararsi antifascisti faceva da alibi al vuoto identitario che affliggeva le sinistre, ma serviva anche come strumento per delegittimare gli avversari della destra, bollati con il marchio opposto di fascisti». Un errore culturale prima che storiografico, che tende a riemergere come un fiume carsico, inquinando il dibattito pubblico. «Ancora oggi – lamenta Colarizi – lo scontro politico si continua ad alimentare impropriamente di una vicenda storica lontana ormai più di un secolo, col risultato di ignorare il contesto politico, culturale, sociale e internazionale dell’epoca e di cancellare la stessa identità degli antifascisti, diversi gli uni dagli altri nei valori ideologici, morali e politici, ma alla fine uniti per fondare il nuovo stato democratico».
Per recuperare quelle identità e, sostanzialmente, la storia complessa degli avversari politici e culturali del fascismo che stava nascendo e poi effettivamente è nato, Colarizi scrive un affresco che opportunamente comincia dal 1919, ricostruendo le posizioni del mondo cattolico e liberale oltre che di quelli socialisti e, poi, comunisti. Ne emergono i profili, le speranze, le sofferenze, delle personalità protagoniste della guerra civile – come la definisce – che ha preceduto e facilitato la svolta del 1922. Figure che hanno poi alimentato, sia pure in modo diverso e con prospettive anche opposte, il dibattito e le azioni degli incarcerati come dei fuoriusciti, in gran parte protagonisti delle differenti resistenze del 1943-1945.
Purtroppo, rileva Colarizi, «Nelle ricostruzioni storiche ha pesato però questa visione eroica dei partigiani, scesi sul campo di battaglia armi alla mano per combattere finalmente i fascisti alleati dei nazisti e riscattare così agli occhi del mondo l’intero popolo italiano dalla colpa della guerra fascista. Si tratta di una lettura semplificata, risuonata nelle celebrazioni ufficiali e riproposta nei manuali scolastici che poggia su una storiografia fortemente condizionata dal primo cinquantennio repubblicano. La struttura stessa del sistema politico postfascista dove predominavano due grandi partiti, il Pci e la Dc, l’uno egemone nella sinistra, l’altra egemone nelle coalizioni di governo, ha influito non poco sugli orientamenti degli storici, per lo più intellettuali “organici” alle formazioni politiche dominanti, comunista e cattolica».
Nello stendere il suo affresco, Simona Colarizi restituisce dunque all’antifascismo il suo volto vero e complesso, con le sue luci e le sue ombre, con i suoi eroismi e i suoi limiti, con le sue intuizioni e i suoi errori, obliterando la retorica della storiografia “militante”. Un bel lavoro, necessario, utile, forse soprattutto per le nuove generazioni. Nella speranza che contribuisca a chiudere la troppo lunga epoca del passato che non passa.
Simona Colarizi, La resistenza lunga. Storia dell’antifascismo 1919-1945, Laterza, Bari-Roma 2023.