Alla vigilia del Giorno della Memoria, qualche riflessione viene naturale. In particolare in questo gennaio 2024, che vede cadere la ricorrenza mentre il Medio Oriente è ancora in fiamme. Lo è a causa della strage del 7 ottobre scorso, quando Hamas, che “governa” la striscia di Gaza, ha scatenato il terrore nel Sud di Israele, uccidendo donne, ragazzi, bambini inermi, e catturando duecento ostaggi. Un’azione ignobile, perpetrata senza alcuna provocazione israeliana, per ribadire le finalità dell’organizzazione, che ha come obiettivo la cancellazione dello Stato ebraico dalle carte geografiche. La reazione di Israele non poteva che essere quella che è stata ed è, di carattere militare.
Le conseguenze sono sotto i nostri occhi. Le vittime civili a Gaza si stanno moltiplicando. Non è ancora chiaro quale possa essere la via di uscita. Invocare la pace, in questa situazione, è banale retorica. È una speranza. Un auspicio. Ma non si può dimenticare il 7 ottobre e confondere aggressori e aggrediti. Né si può dimenticare che le vittime civili di Gaza sono, innanzitutto, vittime di Hamas. È evidente che l’unica opzione possibile è rilanciare la prospettiva dei “due popoli e due Stati”, finora sfumata – nel corso dei decenni – per la indisponibilità non del popolo palestinese, ma dei suoi presunti rappresentanti politici. Sbaglierebbe ora Israele se pretendesse di assumere il controllo militare sia di Gaza sia della Cisgiordania. È necessario un intervento internazionale condiviso. I fanatismi messianici sono un danno per il popolo israeliano, non una soluzione. Non è accettabile, in ogni caso, che a livello internazionale si metta in discussione il diritto di Israele di esistere come Stato democratico, indipendente e sovrano.
Dunque, quest’anno, il Giorno della Memoria, cade in un contesto molto complesso, mentre riaffiora visibilmente un antisemitismo diffuso, trasversale e pericoloso. Riaffiora un sentimento odioso che in realtà non è mai svanito, in Italia e non solo. Un sentimento che il Giorno della Memoria non è riuscito a sconfiggere, né a mitigare, nonostante siano trascorsi quasi 24 anni dalla sua istituzione in Italia, con la legge del 20 luglio 2000, ben prima dalla risoluzione dell’Onu del primo novembre 2005. È bene ricordare che la nostra legge stabilisce che <La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere>.
All’epoca si discusse se non fosse il caso di individuare come “Giorno della Memoria” il 16 ottobre 1943, cioè il rastrellamento nazifascista del ghetto di Roma. Poteva avere un senso simbolico, ma la Shoah è stato un evento storico ben più ampio, che comprende anche quella tragedia. Negli anni, le iniziative previste dalla legge si sono moltiplicate, non solo nelle scuole. Ma il dubbio sulla loro efficacia non è mai venuto meno. Sotto vari profili
Nel 2014 la giornalista e scrittrice torinese Elena Loewenthal pubblicò un piccolo libro urticante: Contro il giorno della memoria. Una dolente provocazione intellettuale. Scrisse Elena Loewenthal: <Io rinnego il GdM: non mi appartiene, non gli appartengo, non riguarda me e la mia, di memoria. La mia memoria non comunica: è soltanto la avvilente consapevolezza di una distanza minima, ma insormontabile. Io che sono nata poco dopo che tutto era finito, che sono vissuta circondata da quel passato, da quei ricordi – per lo più pestati sotto il tallone del silenzio, non per rimuovere quel passato, ma perché per tornare a vivere era fondamentale non lasciarlo parlare, almeno per un po’ di tempo – so per certo un’unica cosa, di quella memoria: che non potrò mai nemmeno lontanamente sentire quello che ha sentito chi è stato dentro quel tempo, quelle cose. Malgrado la mia vicinanza estrema e quotidiana, provo una frustrazione terribile che è la conseguenza di una distanza minima, ma insormontabile>.
Capisco il punto di vista di Elena Loewenthal, ma per me è facile. Non sono ebreo e quella tragedia l’ho studiata senza per fortuna averla del mio bagaglio psicologico personale. Credo dunque che il rischio sia invece quello di dimenticare. Liliana Segre lo ha sottolineato: <Sarà così, la Shoah si dimenticherà, la storia è sempre cosi>. Un’altra sopravvissuta, Andra Bucci, ha detto che <sarebbe meglio ricordare ogni giorno piuttosto che concentrare tutto in una giornata o in una settimana, quasi per lavarsi la coscienza>. Anche qui, comprendo, ma è meglio una settimana di niente. Perché temo che questo accadrebbe.
C’è anche un altro rischio. Lo ha segnalato il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni in un convegno a Roma, il 18 dicembre 2018. Questo il resoconto di “Shalom”: <Rav Di Segni ha espresso preoccupazione per un fenomeno che appare in crescita e distante anni luce da un lavoro di Memoria viva e consapevole. E cioè il radicarsi di quello che ha definito “Shoahismo”. Una religione vera e propria, con i suoi luoghi e con i suoi templi. Tappe imprescindibili per chi ha a cuore la Memoria ma che – ha osservato – non possono diventare l’ancoraggio unico della propria identità. “L’ebraismo, che è una identità viva, per alcuni è soltanto un cimitero. Tutto ciò – ha detto – è patologico”>.
È anche questo è un tema centrale, non nuovo. Spesso si è detto che a molti piacciono gli ebrei morti, non quelli vivi. Lo sta confermando, purtroppo, il contesto attuale.
A interrogarsi su questo punto, problematicamente, è stato Giovanni Belardelli con un articolo su “Il Foglio” del 20 gennaio scorso: L’ostilità verso gli ebrei e il senso di una data.
<Che Giorno della memoria ci aspetta – si chiede – in questo ritorno di antisemitismo? Cosa pensiamo di fare – autorità nazionali e locali, insegnanti, giornalisti, cittadini comuni, tutti noi insomma – per il prossimo 27 gennaio, giorno della memoria? Possiamo decentemente ricordare le vittime della Shoah quando, in Italia e nel mondo (all’Aja per esempio), in tanti sostengono che da vittime che erano gli ebrei sono ormai diventati, come governo e come cittadini di Israele, responsabili di un nuovo genocidio, di una nuova Shoah? Da questo punto di vista poco importa che si tratti di un’accusa infondata. Il punto è che comunque essa circola largamente e determina il nuovo contesto in cui quest’anno bisognerebbe celebrare il giorno della memoria. Sarà possibile? È lecito dubitarne alla luce di dati come quelli contenuti in un’indagine dell’Istituto Cattaneo tra circa 2.500 studenti di tre grandi atenei del nord Italia (“Studenti universitari, ebrei e Israele prima e dopo il 7/10/2023”) che, resa nota il 20 novembre, non ha avuto l’attenzione che meritava. La ricerca, che classifica le risposte anche alla luce dell’orientamento dei giovani lungo l’asse destra/sinistra, conferma la diffusione soprattutto a destra degli stereotipi che caratterizzano l’antisemitismo tradizionale, come l’idea che gli ebrei siano a capo di una cospirazione mondiale attraverso il controllo della finanza; al contempo rivela come sia soprattutto a sinistra che viene condiviso (da circa il 60% degli intervistati) il paragone tra il comportamento di Israele verso i palestinesi e quello della Germania nazista verso gli ebrei. Peraltro l’accostamento tra Israele e il nazismo incontra un’ampia approvazione tra tutti gli intervistati, quale che sia il loro orientamento politico>.
<Ma al riguardo – nota Belardelli – la cosa più interessante è forse un’altra. I ricercatori dell’Istituto Cattaneo, che hanno condotto la loro indagine a cavallo della strage di Hamas del 7 ottobre, evidenziano come il numero di chi concorda con la similitudine tra Israele e la Germania nazista cresca “nei giorni immediatamente successivi alla strage terroristica, molto prima della risposta del governo israeliano”. Questo ci dice in sostanza che la condivisione di quella equazione Israele-nazismo in realtà è indipendente da ciò che Israele fa o non fa; è così indipendente che può perfino aumentare dopo il massacro perpetrato da Hamas e prima dei massicci bombardamenti israeliani su Gaza con le molte vittime civili che ne sono seguite. Potremmo dire, generalizzando, che la ricerca sembra confermare una delle caratteristiche fondamentali dell’antisemitismo: il suo configurarsi come un atteggiamento “a prescindere”, legato non alle azioni degli ebrei ma a ciò che essi rappresentano (agli occhi dell’antisemita, ovviamente)>.
<Ma c’è ancora un’altra conclusione – sottolinea Belardelli – che si può ricavare da questa ricerca. Possiamo supporre che più o meno tutti gli studenti universitari che hanno risposto alle domande dell’indagine abbiano partecipato, negli anni di scuola, alle varie iniziative che ogni istituto organizza in occasione del giorno della memoria, che rappresenta ormai la data centrale nel calendario celebrativo scolastico. Se dovessimo giudicare dalle risposte degli studenti intervistati, allora è difficile non concluderne che quelle iniziative sono servite a ben poco, diciamo pure a nulla, visto che restano diffusi i più tradizionali pregiudizi antisemiti e che si può disinvoltamente paragonare Benjamin Netanyahu a Adolf Hitler (con la conseguenza anche di una inevitabile, clamorosa banalizzazione del nazismo perché il paragone vale nei due sensi, dunque implica che Hitler, in fondo, non era che uno come Netanyahu…). Del resto, anche un’indagine Eurispes condotta nel 2020 induceva a conclusioni analoghe. Riportava infatti che per un 15,6% di italiani lo sterminio degli ebrei non ci sarebbe mai stato; un dato che era in netto aumento rispetto a una analoga indagine che lo stesso istituto aveva condotto nel 2004 e che forniva una percentuale assai più bassa, del 2,7%. Se ne ricavava dunque che la significativa minoranza rappresentata da quanti negano la Shoah era aumentata proprio in un paese che pure dedica al ricordo dell’evento una apposita giornata, istituita nel 2000 e diventata subito centrale nel nostro calendario civile. So bene che uno statistico, forse gli stessi ricercatori dell’Istituto Cattaneo o dell’Eurispes, potrebbe considerare queste conclusioni troppo grossolane. È possibile, ma qui siamo di fronte a un dato che mi pare macroscopico: una diffusa e crescente ostilità per gli ebrei che viene dopo più di vent’anni di iniziative varie e costanti per il giorno della memoria; iniziative che, in molti casi, potrebbero aver avuto soltanto la funzione di nascondere un antisemitismo carsico e perfino banale (lo stesso, temo, che ha fatto parlare al Tg della 7 del 18 gennaio di morti nei “bombardamenti ebraici” su Gaza). Dobbiamo dunque chiederci cosa non abbia funzionato, magari cominciando a riflettere sulle obiezioni che qualcuno aveva pure fatto sul giorno della memoria: dalla stessa data scelta, il 27 gennaio, che, ricordando un fatto estraneo alla storia italiana (la liberazione di Auschwitz), può indurre a guardare allo sterminio degli ebrei come a cosa che poco ci riguardi; alle stesse modalità spesso ripetitive con cui ogni anno rischia di manifestarsi la condanna dello sterminio e il monito secondo il quale chi non conosce il passato sarebbe condannato a ripeterlo. Condanne e moniti che danno per scontato che sia sufficiente l’esecrazione del male per allontanarlo, ma non v’è alcuna prova che sia così>.
Temo che Belardelli abbia toccato il punto centrale della questione. Per questo ho ripreso il suo testo, sul quale spero sia possa riflettere con serietà. Probabilmente, ferma restando la legge, è necessario cambiare l’approccio al Giorno della Memoria. Non possiamo fare finta di niente. Una riflessione pubblica appare ormai necessaria. Ciascuno faccia la sua parte.
Per quanto mi riguarda, domani, a Perugia, sarò presente all’iniziativa dell’Associazione Italia Israele, quest’anno dedicata alle donne vittime della Shoah. E alla posa di una pietra d’inciampo per ricordare Ada Almansi Rimini, che il 4 dicembre 1943, temendo di essere arrestata e deportata, scelse il suicidio. Accadde, appunto a Perugia, dove per fortuna molti ebrei riuscirono a salvarsi. E questo ci riporta al contesto italiano, alle leggi razziali del 1938, quando gli italiani ebrei tornarono a essere cittadini di serie B. Un’ignominia voluta da Mussolini, che volle cinicamente imitare Hitler. Uno dei momenti più tristi e dolorosi della nostra storia. Che non può e non deve essere dimenticato.
Proprio a Perugia, la discriminazione toccò anche all’ingegnere Luciano Calef, al quale, per il suo impegno come direttore della Crea, la società che gestiva l’acquedotto, fu concessa la tessera del PNF ad onorem. Con le leggi razziali fu retrocesso a impiegato. Ebbene, l’ingegner Calef era stato tenente del Genio nella Grande Guerra. Il 13 giugno 1940 chiese di <essere richiamato a servire la Patria in armi>. Non gli fu concesso. Il 3 luglio del 1940 – nonostante tutto – volle chiedere al Questore il permesso di poter conservare, insieme alla sua divisa, anche la sua sciabola d’ordinanza. Almeno questo permesso gli fu accordato. Un piccolo episodio? Un dettaglio della storia? Non proprio. Anche per questo è importante ripetere: Mai più!
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Per chi volesse conoscere meglio i casi di Luciano Calef e di Ada Almansi Rimini segnalo il saggio di Maria Luciana Buseghin: Note sugli ebrei in provincia di Perugia dal 1938 al 1944, in “Quaderni della Fondazione Ranieri di Sorbello”, n. 9/2023, pp. 331-342.
2 comments
Fabio Maria Santucci
Gennaio 26, 2024 at 2:38 pm
Complimenti
Gianni Scipione Rossi
Gennaio 26, 2024 at 2:48 pm
Grazie. Ciao