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GB, “cappotti” e paradossi

Luglio 5, 20240

Per noi italiani è quasi impensabile. Per noi che definimmo “truffa” la legge che nel 1953 tentò la strada dei un premio di maggioranza per la coalizione che avesse ottenuto il 50% più 1 dei voti. Non funzionò, per poco. L’idea di garantire la stabilità della guida politica della Nazione sembrò una bestemmia. All’Assemblea Costituente se ne discusse, ma alla fine prevalse il sistema proporzionale. Troppo vicina era la dittatura. Troppo vicina la legge Acerbo del 1923. Poi ci abbiamo riprovato, in vario modo, con polemiche all’arma bianca, ma il pregiudizio è rimasto.

Per noi proporzionale e democrazia sono due facce della stessa medaglia. Tant’è che la legge sul “premierato”, che tende a garantire stabilità, è criticata come “autoritaria”, anche se i costituzionalisti sono divisi. Già il sistema francese semipresidenziale con doppio turno anche alle parlamentari piace poco, anche se, alla vigilia del secondo turno, si spera che funzioni contro la Le Pen. Ipocrisia canaglia.

Non mi sorprendono, ma mi fanno sorridere, i titoli che i giornali dedicano alla grande vittoria dei laburisti nelle elezioni britanniche. Hanno fatto cappotto, in effetti, in termini di seggi alla camera bassa. A scrutino pressoché concluso, al Labour ne  toccano 412 su 650. E non si discute. Hanno stravinto e governeranno. E alzi la mano l’imbecille capace di definire non democratica la Gran Bretagna.

Sì, il Labour ha stravinto, ma non sul piano dei consensi nelle urne. In termini di voti, rispetto al 2019, ha guadagnato un misero 1,5%. Dal 32,2 è salito al 33,7. Con il nostro  modo di ragionare i 412 seggi che garantiranno la stabilità sarebbero il frutto di una truffa. In realtà, in termini di consensi nelle urne non hanno stravinto i laburisti, hanno straperso i Tories, che sono crollati dal 43,6% al 23,6, praticamente dimezzati. Si dovranno accontentare di 121 seggi. In termini di voti espressi non sono stati sconfitti dal Labour, ma dal nuovo partito di Farage, Reform, che è passato da 2% al 14,3. Il che testimonia la crisi profonda del conservatorismo britannico. Farage, peraltro, ha ottenuto solo 4 seggi, mentre i liberali, stabili al 12,7% (+0,7), ne hanno conquistati 71.

Come si sa, il sistema elettorale britannico è maggioritario nei singoli collegi. Chi prende un voto in più vince. Si può, paradossalmente, essere eletti in il 20%, se i concorrenti prendo tutti il 19,9%.

È giusto? È un sistema che tradisce la volontà degli elettori? Su questo si può ragionare. A casa nostra. I britannici sanno come funziona la loro stabile, solida, antica democrazia. Che funziona, al di là delle distorsioni nella rappresentanza. E dei paradossi. Churchill vinse la guerra e perse le elezioni. In quel luglio 1945, però, il laburista Attle vinse con il 47,7% contro il 36,2 dei Tories. Vittoria popolare, non solo tecnica.

Sul piano politico i Tories, litigiosi sulla Brexit, hanno fallito in questi anni da un leader all’altro. Per questo hanno perso politicamente, al di là dei pochi seggi parlamentari. La sconfitta in Gran Bretagna è una sconfitta. Il quasi gol non esiste. Rishi Sunak si dimette in 5 minuti e lascia il numero 10 Downing Street. Keir Starmer è il nuovo premier, senza discussioni. Punto. Dovremmo rifletterci, invece che fare i duri e puri del proporzionale e gridare allo scandalo quando, da decenni, si tenta di conquistare la stabilità.

 

 

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