Avrebbe potuto essere solo un reportage del dolore l’esito del terzo viaggio che il giornalista Adam Smulevich ha compiuto in Israele dopo il 7 ottobre 2023. È anche questo, naturalmente. Non poteva non essere anche questo il viaggio nel Paese che <é stato sfregiato nella sua anima da un’orrenda carneficina compiuta da terroristi senza scrupoli che hanno ucciso, stuprato e decapitato per il solo gusto di farlo, perché è quello in cui credono, perché è quello che gli è stato insegnato da un regime criminale. Che ha colpito Israele per colpire l’Occidente e i suoi valori e ha poi esposto migliaia di civili come scudi umani, negli ospedali e nelle caserme>.
Il viaggio non poteva che cominciare a Sud, in quel Sud. Shalomi, l’autista, è costretto a rallentare. Davanti due autobus marciano nella stessa direzione. La direzione che porta in un solo luogo. <Lì>. Shalomi non pronuncia il nome della destinazione. <Non riesce a pronunciarlo perché qualcosa si spezza prima in gola. È il buco nero. È l’indicibile. È il trauma più grande d’Israele: Nova Festival>. Lì dove il 7 ottobre la festa si trasforma in carneficina, nel parcheggio del kibbutz Re’im. Quello che accadde non sarà mai dimenticato. Zakhor/ricorda – spiega Smulevich – é un imperativo ebraico. Un verbo da <scolpire nella testa e nel cuore, perché in buona e cattiva sorte non c’è colpa più grave dell’oblio. E perché una società senza memoria è destinata a perdere se stessa>.
Dunque è dalla necessità del ricordo della strage, dal luogo dove è stata perpetrata, dalle testimonianze dei superstiti, dalle foto delle vittime che tappezzano le strade, dal dolore diffuso che comincia il viaggio. Ma non è un viaggio nel dolore. Il dolore lo accompagna, é la filigrana nascosta di ogni riga, di ogni capitolo. Ma è in realtà, forse persino al di là delle intenzioni dell’autore, un viaggio nella speranza. Una speranza che si manifesta a ogni angolo di strada, in ogni incontro, emerge in ogni dialogo, procedendo parallela alla disperazione. Nonostante la disperazione.
Consapevole di questo percorso intriso di dolore e speranza, Smulevich va oltre il ricordo. Ne approfitta, piuttosto, per dipingere, tappa dopo tappa del suo viaggio, un grande affresco realistico di Israele. Di Israele nella sua complessità. Qualcosa di più e di diverso di quello che appare al distratto lettore delle cronache, pur non coinvolto dall’antisemitismo che riemerge e si diffonde anche nell’Occidente in cui viviamo, nell’Occidente di cui Israele è parte integrante e irrinunciabile. L’Israele democratico e complesso. L’Israele Stato ebraico ma non solo. L’Israele plurale. Israele con il suo melting pot ebraico, la ricchezza di identità testimoniata dai volti dei suoi soldati.
L’Israele degli haredim, i “timorati di Dio”. L’Israele <dei “giovani delle colline”. Un nome lirico dietro al quale si sostanzia una realtà fatta spesso di odioso suprematismo e violenza nei confronti dei palestinesi di Cisgiordania>. <Di Israele – ci ricorda Smulevich – ce ne sono più di una: l’Israele secolare e quella religiosa. L’Israele degli arabi, musulmani e cristiani. L’Israele dei drusi, dei circassi e dei bahai>. L’Israele dei beduini e dei kibbutz. L’Israele messianica, spesso destabilizzante, dei “coloni”. L’Israele dei cristiani che si dividono non amichevolmente la guardia al Santo Sepolcro: copti, armeni, latini cattolici, ortodossi, siriaci, etiopici. Quel Santo Sepolcro le cui chiavi, non per caso, Saladino affidò a una famiglia musulmana, per non far torto a nessuno.
Nel suo peregrinare Smulevich racconta e spiega come nasce e vive questo affascinante mondo plurale, da Sderot a Gerusalemme, da Tel Aviv ad Acco, dai kibbutz più antichi alle città più moderne, dal Giordano al Mediterraneo, quella terra dalla quale Hamas ed Hezbollah, foraggiate dall’Iran, vorrebbero cancellare gli ebrei. Smulevich raccoglie testimonianze, sensazioni, immagini, disagi, speranze di un mondo che può sembrare un miracolo per la sua capacità di esistere e resistere. Con i suoi pregi e i suoi difetti.
Non manca Haifa nel racconto. Città multiculturale come poche. Dove accade che la rettrice dell’Università, Mona Maroun, sia una cristiana. “Sono araba, cristiana, maronita e donna”, si definisce. E israeliana. Il viaggio termina a Daliyat al-Carmel dominata del Monte Carmelo, la Vigna di Dio. <Feudo dei drusi – sottolinea Smulevich -, soldati eroici e intrepidi, cittadini tra i più fedeli d’Israele>. Incontra Yusuf. Che gli dice: <Non siamo ebrei, ma siamo molto più israeliani di tanti ebrei>.
Dolore, speranza, complessità. Tre parole che costituiscono la trama e l’ordito di questo reportage, capace di rappresentare Israele per quel che è: uno Stato assediato dalla sua nascita, che dal 7 ottobre 2023 si sente più incompreso che in passato. Più solo. La nuova Solitudine di Israele denunciata da Bernard-Henri Lévy. Il contributo di Adam Smulevich può aiutare a capirlo, al di là dei luoghi comuni.
Adam Smulevich, Israele tra abisso e speranza. Viaggio nell’anima di un Paese, Minerva, Bologna 2024
Pubblicato anche su “The Social Post” il 26 ottobre 2024:
https://www.thesocialpost.it/2024/10/26/il-reportage-del-dolore-israele-tra-abisso-e-speranza/