A un anno e più di tre mesi dalla mattanza antisemita dei quel maledetto 7 ottobre 2023 non si può che apprezzare l’accordo che sarebbe stato raggiunto a Doha – dopo tanti fallimenti – per una tregua a Gaza. Anche se il condizionale è ancora d’obbligo. Il Qatar si è impegnato moltissimo, ed è un bene. Per Israele, per i palestinesi anch’essi vittime di Hamas, per l’intera regione, dove si sono aperte altre questioni dopo il crollo del regime siriano, mentre dai ribelli Huthi yemeniti continuano a essere supportati dall’Iran.
All’accordo non si sarebbe mai arrivati se Israele non avesse avuto la capacità di reagire militarmente prima all’attacco dal Sud, poi a quello di Hezbollah da Nord. Israele aveva il diritto, anche morale, di reagire. Ha reagito e ha vinto sul terreno. Ora si tratta però di capire innanzitutto se gli ostaggi ancora in vita saranno tutti restituiti alle loro famiglie e quale sarà la contropartita sul rilascio dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. L’intesa è ancora vaga. Tutto potrebbe crollare in un attimo. Non solo per le pretese di Hamas, ma anche per questioni politiche interne a Israele. L’estremismo dei piccoli partiti “messianici” alleati di Netanyahu è un problema. Ed è innegabile, sul fronte opposto, che Hamas – per sopravvivere – potrebbe in qualsiasi momento cambiare le carte in tavola. Che la Striscia di Gaza non continui a essere dominata da Hamas è un interesse vitale di Tel Aviv, che nel 2005 si ritirò dall’area, formalmente rientrata nella sovranità dell’Autorità Nazionale Palestinese. Una sovranità durata pochissimo. Nel 2006 Hamas vinse le elezioni nella Striscia. Nel 2007 sconfisse Fath nella battaglia fratricida di Gaza e da allora la “governa”. Per l’Anp, nella prospettiva del riconoscimento globale di uno Stato Palestinese, è interesse vitale che la Striscia sia sua parte integrante, senza il rischio di una rinascita del terrorismo antiisraeliano, che renderebbe molto difficile un accordo condiviso sul futuro degli insediamenti in Cisgiordania. Una trattativa difficilissima ma necessaria.
In gran parte della Striscia si festeggia l’accordo di Doha, dicono le cronache. Stanchi del dominio di Hamas i palestinesi sperano che dalla tregua si passi alla pace. Non è così scontato. In vista in Novergia il premier della Anp Mohammad Mustafa ha parlato chiaro: “non sarà accettabile” – ha detto – che in futuro la Striscia di Gaza venga amministrata da nessun’altra entità diversa dall’Anp. Una posizione ben più rigida di quella del segretario di Stato uscente americano Antony Blinken, molto attivo nelle trattative. “L’Anp – ha detto – dovrà gestire Gaza nel dopoguerra con l’Onu”. Potrà essere una coabitazione di transizione, che tutti i paesi della regione potrebbero accettare, ma è questione è delicata. E l’insediamento della amministrazione Trump potrebbe cambiare lo scenario.
Tanti, persino troppi, gli interessi in campo. Anche se Hamas e Hezbollah sono stati sostenuti solo dall’Iran, mentre la “amica” Russia ha dovuto subire la perdita della Siria e ha gravissimi problemi interni a causa della crisi economica causata dalla guerra contro l’Ucraina.
Si può, dunque, essere ottimisti? Forse è più opportuno essere prudenti e realisti prima di festeggiare. Lo confermano le ultime notizie da Israele. “Hamas – riferisce il quotidiano Haaretz, citando fonti governative – sta tentando di far fallire i colloqui per il cessate il fuoco sostenendo che Israele ha aggiunto nuove richieste ai negoziati”. Altre fonti ritengono che, nonostante il ritardo nella risposta ufficiale di Hamas alla bozza dell’accordo, i negoziati non sarebbero invece in crisi. Un’ennesima fonte israeliana afferma – sempre ad Haaretz – che sembra “che Hamas sia interessata all’accordo, ma che nulla è stato ancora finalizzato”. Tuttavia va ricordato che Haaretz è un organo di stampa critico di Netanyahu. Prudenza e realismo sono d’obbligo.
Aggiornamento
Nel pomeriggio Trump ha comunicato via social che l’accordo è certo e che il cessate il fuoco sarà immediato, come confermano fonti della amministrazione Biden. “Gli ostaggi di Hamas – ha aggiunto Trump – saranno rilasciati tra poco”. Naturalmente si è intestato il successo, attribuendolo al clima internazionale creatosi con la sua rielezione alla Casa Bianca.
“Rilasciati tra poco” è un’iperbole. Lo scambio dovrebbe svolgersi a tappe entro 42 giorni, se non sorgono problemi. In ogni caso, alle 19.30 ora italiana, si è in attesa dell’annunciata dichiarazione congiunta di USA, Quatar ed Egitto.
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Pubblicato anche su “The Social Post”, 15 gennaio 2025
https://www.thesocialpost.it/2025/01/15/gaza-dopo-laccordo-di-doha-ce-speranza-ma-senza-illusioni/