In politica si può litigare su tutto. Lo si fa da sempre. Litigavano anche ad Atene. Dunque non stupisce che le opposizioni abbiano colto l’occasione del caso del comandante della polizia giudiziaria libica Nijeem Osama Almasri, espulso dall’Italia e trasferito in tutta fretta a Tripoli, per una sceneggiata parlamentare. Ogni occasione è buona. La trasmissione in diretta televisiva dei dibattiti al Senato e alla Camera è in questi casi scontata. Ma non è che abbia appassionato gli italiani. Il Tg3 delle 12 ottiene il 9,1% di share. A seguire, la diretta dal Senato il 6,2%, con una media di 694mila telespettatori. Quella dalla Camera scende al 5,8% e poi al 4,7%. Anche se il clima nelle aule era surriscaldato, come talvolta accade, non è che gli italiani ci abbiano fatto molto caso.
Eppure del caso Almasri da giorni si parlava sui media, essenzialmente come di uno scandalo politico italiano e internazionale. Non sarò io, che per un ventennio mi sono occupato di quelle dirette, a scandalizzarmi per lo scarso interesse degli utenti televisivi. Ci sono stati ascolti migliori, ma anche peggiori. Le dirette parlamentari sono doveroso servizio pubblico, sia pure con scarso pubblico. Le forze politiche, soprattutto quando sono all’opposizione, le ritengono efficaci. L’esito un po’ le smentisce.
In questo caso ho la sensazione che lo scarso interesse fosse largamente prevedibile. Da giorni mi chiedo quale sia, realmente, il tema su cui discutere. In sostanza, il governo si poteva/doveva comportarsi diversamente? Siamo ragionando di relazioni internazionali. Come è accaduto l’8 gennaio scorso, quando Cecilia Sala, incarcerata senza motivo a Teheran, è stata liberata e riportata a casa grazie a una triangolazione politico-diplomatica. In Italia, su richiesta degli USA, è stato arrestato un ingegnere iraniano. Per i rapporti italoamericani dovrebbe essere consegnato a Washington. Ma una cittadina italiana rischia anche la vita a Teheran, che chiede a Roma di liberare il suo cittadino. Il governo, giustamente – non è certo il primo caso – agisce. La premier Meloni tratta con il presidente uscente Biden e con l’entrante Trump. Gli USA rinunciano. La Sala torna a casa e l’ingegnere torna in Iran. Applausi. Nessuno si scandalizza. Solo gli ingenui possono negare che le relazioni tra Stati sovrani siano basate su accordi etici. Ciascuno difende i propri interessi, di qualunque tipo si trattino. Economici, politici, umanitari. Chi fa finta di non capirlo è un ipocrita.
Il caso Almasri è diverso? Essenzialmente è più complesso. A cominciare dal contesto libico. La storia serve. Ricordiamo che nel 1911 (governo Giolitti) l’Italia dichiara guerra all’Impero Ottomano. Vince e conquista le province turche di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan. Vengono a comporre la colonia italiana chiamata Libia nel 1934. Nel 1942 le armate inglesi sconfiggono quelle Italo-tedesche. Nel 1947 la Gran Bretagna – su mandato ONU – amministra Cirenaica e Tripolitania. La Francia amministra il Fezzan. All’Italia tocca il mandato sulla Somalia fino al 1960. Nel 1951 la Libia unita dichiara l’indipendenza come monarchia con il re Idris al-Sanusi. Gli ebrei libici vengono espulsi. I coloni italiani restano nel paese, dove sono presenti forze americane e inglesi.
Ricordiamo che nel settembre del 1969 un colpo di stato militare porta al potere il colonnello Muhammad Gheddafi. Re Idris. Va in esilio. Nel 1970 Gheddafi espelle tutti gli italiani. Resta al potere fino al 2011, quando viene spodestato da un colpo di stato. Il 16 maggio il procuratore del Tribunale Internazionale dell’Onu chiede l’incriminazione di Gheddafi per crimini contro l’umanità. Il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene ucciso dai ribelli, in circostanze mai perfettamente chiarite.
Da allora la Libia è uno Stato non Stato. È di fatto una entità poltica teoricamente unita, ma nella realtà divisa. Tripolitania e Fezzan sono “controllate” da un governo riconosciuto dall’ONU con sede a Tripoli. La Cirenaica da un governo militare a Bengasi, sostenuto dalla Turchia e dalla Russia. L’Italia riconosce il governo di Tripoli, ma tratta anche con Bengasi. Per i suoi interessi economici e politici. Si tratta di petrolio e di gas. A questi interessi si aggiunge il controllo dell’immigrazione clandestina proveniente dall’Africa subsahariana e gestita da organizzazioni neo-schiaviste. Per quanto il quadro sia complesso, per l’Italia i rapporti con la Libia sono fondamentali.
Per questo, nel 2008, il governo guidato da Silvio Berlusconi firmo’ con Gheddafi il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” tra Italia e Libia, che non piacque ai competitor nell’area. Per questo, due anni dopo, Gheddafi fu accolto a Roma, con tutti gli onori, con tanto di amazzoni e tenda beduina. Per interesse. Non di Berlusconi, ma dell’Italia. Per questo nel 2017, grazie ai rapporti tessuti dal ministro dell’Interno del PD Marco Minniti il governo Gentiloni firmò il “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana”.
Per questo, l’allora ministro Minniti è ancora convinto che non si può ragionare di ricatto libico sul caso Almasri. «La Libia – sostiene oggi sul “Corriere” – è strategica. La Libia era ed è una questione di interesse nazionale al suo livello più alto: la sicurezza nazionale, cioè l’incolumità anche fisica di ogni cittadino. Un pezzo grande di sicurezza nazionale si gioca fuori dai confini nazionali». Di questo si tratta, se si ragiona di politica.
Ma Almasri è un bandito, si dice. Perché, la Guida Suprema iraniana è una bella persona? Un sincero democratico? Lo sono le sue polizie “morali”? Per questo non dovevamo trattare per la Sala? Le opposizioni, in Parlamento, hanno fatto la loro sceneggiata. È bene ha fatto la Meloni a delegare i ministri competenti. Che, peraltro, sono tenuti a rispettare i segreti di Stato, pur non dichiarati. L’interesse nazionale viene prima di tutto nei Paesi seri. Il resto è barzelletta.
In ogni caso, il caso Almasri ha molti aspetti oscuri e pericolosi. La Corte penale internazionale erede dal 2002 del Tribunale dei tempi di Gheddafi – con una maggioranza di due giudici a uno – ha emesso un mandato d’arresto sul generale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella prigione di Mittita, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere, che comandava, secondo i documenti dell’Aia, sarebbero state uccise 34 persone e fu violentato un bambino. Niente di più eticamente raccapricciante.
Ma i fatti sono questi:
il 6 gennaio Almasri vola da Tripoli a Londra, con scalo a Fiumicino. Per una settimana passeggia a Londra con un passaporto del Commonwealth della Dominica, minuscola repubblica antillana. Nessuno obietta. Il 13 gennaio va a Bruxelles, poi in Germania, in macchina, fino a Bonn. A Monaco di Baviera lo ferma la polizia e prosegue tranquillamente. Il 16 arriva a Torino. È juventino e va allo stadio a vedere la partita. Il 18 la Corte dell’Aja emette il mandata d’arresto. Il 19 la polizia italiana lo arresta. Il 21 viene rilasciato su disposizione della Corte d’Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato – spiega l’agenzia Ansa – di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio. L’arresto non è stato “preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”, si legge nell’ordinanza della corte di Appello di Roma, che dispone l’immediata scarcerazione. Espulso, con volo di Stato viene spedito a Tripoli.
Due questioni. La prima: perché mai Almasri ha potuto fare il turista in Europa? La seconda: perché la “patata bollente” è stata scaricata sull’Italia? Il governo italiano ha sbagliato? L’Italia doveva rischiare la reazione di Tripoli sul fronte energetico e su quello migratorio? Le anime belle facciano pure le sceneggiate. Ma l’interesse nazionale – cioè dei cittadini – è un altro.
C’è qualche buco nero nella ricostruzione dei fatti? Torniamo ai rapporti italo-americani del caso Sala. Ricordate la strage del Cermis? 3 febbraio 1998. Un aereo americano di stanza alla base di Aviano fa un volo di addestramento in Trentino. I piloti violano tutte le regole. Volano a bassa quota e tranciano la fune della funivia. Muoiono 20 persone. I piloti vengono processati e condannati in America. Lo statuto dei militari Nato all’estero e’ disciplinato dalla Convenzione di Londra del 1951. L’uso di infrastrutture in territorio italiano – quindi Aviano – da un accordo bilaterale Italia-USA del 1954. Accordo segreto. Desecretato dal presidente del Consiglio Massimo D’Alema solo nel 1999. 45 anni dopo. Il mondo è cambiato. Era giunto il momento. Se sul caso Almasri c’è – al di là degli evidenti interessi italiani – un buco nero, lo sapremo tra 45 anni. Come è giusto che sia. Se ne occuperanno gli storici.
Pubblicato anche su “The Social Post” il 6 febbraio 2025: