GIORNALISMO · ATTUALITÀ · STORIA
Seguimi sui social:

“L’abbaglio” anti-Gattopardo

Febbraio 9, 20250

Sarà che la biblioteca casalinga era intasata dai romanzi di Carlo Alianello. Sarà che il nonno paterno era nato – come tutta la sua famiglia – in quel di Cascano di Sessa Aurunca. Sarà che al nonno piaceva raccontarmi che suo padre gli raccontava di quando il Re Francesco II delle Due Sicilia – e forse anche Ferdinando II – faceva fermare la carrozza e scendeva per salutare l’esiguo contado cascanese. Sarà che ometteva di soffermarsi sul fatto che Cascano è situato in cima a una collinetta attraversata dalla Via Appia, e dunque probabilmente la carrozza si fermava un po’ per far riposare i cavalli, prima di riprendere, in discesa, la via per Napoli. Sarà che presto, quando si andava a trovare i parenti, mi venne il dubbio che quella pausa davanti al Palazzetto Rossi non fosse per omaggio al popolo ma una necessità.

Sarà per tutto questo, con tutto il rispetto per le memorie, che mi ha sempre indispettito la retorica neo-borbonica. Non nego che L’Alfiere, Soldati del Re e L’eredità della priora siano grandi romanzi. Romanzi, appunto, non storia. Romanzi che grondano nostalgia di quanto piacevole fosse vivere in quell’epoca, in quel contesto culturale e sociale. In fondo anche Via col vento di Margaret Mitchell – per non dire del film – e’ un’elegia del sistema sociale della Georgia, basato sullo schiavismo che aveva consentito la nascita di una “aristocrazia” di proprietari terrieri, di latifondisti cotonieri. Un sistema sociale statico, con le sue regole, le sue certezze, la sua eleganza, il suo equilibro. In quel mondo Mami può amare sinceramente Rossella O’Hara. Rossella può amare gli schiavi addetti alla casa padronale.  E comunque domani è un altro giorno. Lacrime.

Sarà che io tifo per Django. E comunque anche nell’epopea del West i costruttori di ferrovie erano solo l’altra faccia dei latifondisti, ma rincorrevano la modernità. E formarono una nuova aristocrazia.

Nessuna retorica mi piace. E quando i neo-borbonici insistono sulle Seterie di San Leucio o sui quei sette chilometri della ferrovia Napoli-Portici, o sulle Ferriere Calabresi mi innervosisco. Mica è una gara. In tutti gli Stati preunitari c’era qualcosa di buono. Non è che i principi fossero idioti. Neppure il Papa. Non per questo l’Italia doveva rimanere una espressione geografica, una somma di staterelli vassalli di questa o quella potenza straniera. Quando diventai più grande obiettai al nonno: ma se i Borbone napoletani avevano un regno così grande, così avanzato, così ricco, così colto – e in effetti lo era – perché non hanno promosso loro l’Unita’ d’Italia? Superficiale? A dodici anni ci può stare. Non ci fu risposta. Né la da Alianello. E non la danno neppure i suoi epigoni, di livello culturale infimo, al confronto. Sono fermi alla nostalgia. Alimentando un sentimento antirisorgimentale che si diffonde come la peste.

Non mi ero informato. Dunque temevo qualcosa del genere, con conseguente travaso di bile. Invece devo rendere onore a Roberto Andò per aver scritto e girato L’abbaglio. Grazie a lui, che lo ha scritto con Ugo Chiti e Massimiliano Gaudioso. Grazie a Toni Servillo (il colonnello Orsini),  Tommaso Ragno (Garibaldi) a Ficarra e Picone, a tutti insomma.

E’ un film, naturalmente, non un saggio storiografico. Ma neppure un romanzo. Dall’arruolamento dei Mille allo sbarco a Marsala, alla battaglia di Calatafimi, all’ingresso a Palermo, rende il clima politico e romantico della spedizione garibaldina. Con i suoi eroismi, le sue sbavature, i suoi disertori immaginari che diventano eroi. Ma è anche una fotografia della Sicilia dell’epoca, dove emerge la mafia dei latifondi.

In fondo protagonista, accanto al fervore risorgimentale, è anche il popolo siciliano “che si rivela nei silenzi e nelle parole che non dice”, come spiega il colonnello Orsini. Aveva arruolato i Mille. Vuole l’Italia. Palermitano, vorrebbe entrare con Garibaldi nella sua città. Ma il generale gli affida il ruolo, fondamentale, di far credere all’esercito napoletano che i garibaldini si stanno ritirando. Obbedisce.
Lo ritroviamo nella Palermo italiana. Non esattamente quella che sperava. Valeva la pena aver tradito la tradizione familiare? Il rimprovero dell’anziana madre non gli fa cambiare idea. Sullo sfondo il “tutto cambi perché nulla cambi” del Gattopardo. Ma L’abbaglio è un anti-Gattopardo. Orsini rimpiange il parziale tradimento del sogno. Ma sa che la storia non è un romanzo. L’abbaglio è più storia che romanzo. Alianello resta nello scaffale, a testimonianza di una nostalgia prima di senso.

 

Pubblicato anche su “The Social Post” il 9 febbraio 2025:

https://www.thesocialpost.it/2025/02/09/onore-a-roberto-ando-per-labbaglio-perche-il-risorgimento-ha-fatto-litalia-e-i-borbonici-no/

 

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *